di Luigi Scardigli
Montaleni a Santomato
Nick non c’era, ieri sera, sul palco di
Santomato, dove prima di un’ennesima forbitissima esibizione, hanno provato a
far breccia nuove voci. Non c’era, ma la sua assenza è stata giustificata da
una colica renale e allora, proprio per compensare una mancanza semplicemente
insostituibile, i suoi vecchi amici e colleghi hanno fatto di tutto per non
farlo sentire in colpa per una defezione tanto improvvisa quanto
impreventivabile.
E ci sono riusciti, a cominciare da uno
dei promotori del Blues in città, l’armonica di Fabrizio Berti, che si è fatto
scudo con la batteria di Mario Marmugi e il basso di Janko. Alle tastiere
Lorenzo Cioni e in mezzo al palco – è su di lui che concentrerò le mie
attenzioni –, Sergio Montaleni.
La vita riserva sistematicamente delle
sorprese, pur tenendoci a riparo da spiragli, improvvisi bagliori, emozioni
forti, scommesse audaci. Spesso la vita ci chiama e il nostro cuore, il quel
preciso istante, deve esser pronto a partire, come suggerisce Hermann Hesse; e
a ricominciare, aggiunge però lo scrittore e poeta tedesco, nello struggente
tripudio Gradini.
Bene, Sergio Montaleni, una delle
chitarre più belle e delicate che questa città abbia mai visto brillare nelle
notti di tutte le stagioni, si è dovuto fermare un attimo; ne ha approfittato
per riflettere, anche spaventarsi un po’, se volete, ma ha raccolto le forze e
con l’aiuto degli amici, quelli veri, quelli che non hanno bisogno di essere
chiamati due volte, per esserci, ha fatto due passi intorno al caseggiato e ha
finalmente riimbracciato la chitarra, l’alfabeto con il quale, da quando lo
conosco (1989) ha sempre saputo dialogare, parlando e ascoltando, anche con
quelli che come me, con la chitarra, al massimo, possono strimpellare Guccini
in una cena a casa di amici o intonare il tormentone dei Deep Purple, Smoke
in the wather.
Non a caso, nella platea, gremita di
mamme sognanti (per le figlie sulle rampa di lancio per il concorso canoro),
papà un po’ più disincantati delle loro rispettive consorti e fidanzatini
rappresi tra la voglia di esibizione delle loro giovani partners e una briciola,
perché no, di sana gelosia, c’erano tanti, ma tanti musicisti, quelli con i
quali Sergio Montaleni, in questi ultimi venticinque anni, ha imbalsamato e
stupito centinaia di platee, rileggendo, con puntuale e sorprendente
creatività, la musica già indelebilmente scritta da altri, con i quali si è
sempre umilmente confrontato.
Ieri sera, oltre a qualche cimelio di
blues e rock blues, è stata la volta dei Rolling Stones, Beatles, Dire Straits,
Steve Wonder e altre interpretazioni che non ho potuto ascoltare proprio per
venire a casa di corsa a scrivere, a notte fonda e con il cuore ancora
decomposto dall’emozione e dalla solitudine, tutto quello che Sergio, Lorenzo,
Fabrizio, Mario e Janko hanno voluto regalarmi.
Oh sì, lo so bene che non l’hanno fatto
per me, ma la musica, oltre a una miriade di emozioni che sono difficilmente
elencabili, regala anche queste illusioni.
E a me succede spesso, quando suonano i
miei amici, di sentirmi un privilegiato.
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Foto di Giuliana Monti.
[Venerdì 16 dicembre 2011 – ©
Quarrata/news 2011]
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