di Luigi Scardigli
«Non mi permetto il lusso di giudicare
perché nessuno di noi ha scelto»
«È già così difficile esistere, per me; non posso anche
aggiungerci il lusso e il fardello di giudicare. Questa è la mia vita, questo
il mio teatro».
Il sipario del teatro Yves Montand
di Monsummano si è chiuso da pochi minuti. Amanda Sandrelli, accompagnata dall’orchestra
multietnica di Arezzo, ha appena terminato, sotto una pioggia di fragorosissimi
applausi, la sua triplice interpretazione, Credo in un solo Dio, un
monologo strumentale che racconta la storia di tre donne che la storia, la vita
e la morte decidono di far casualmente incontrare in un bar della Striscia di
Gaza, in una piovosa sera d’aprile.
Con la tuta mimetica delle Forze
internazionali di guerra e non certo di pace c’è Mina Wilkinson, che il
regista, Stefano Massini, identifica illuminando la bravissima Amanda con una
fascia di luce verde che cala, a picco, da un occhio di bue; quando la luce
diventa blu invece, Amanda Sandrelli, che sfoglia con disinvoltura il copione
appoggiato sul leggio, in elegante giacca e pantaloni neri, è Eden Golan,
docente di storia ebraica; quando il fascio di luce diventa rosso, la
tenerissima figlia d’arte ad origine controllatissima è Shrin Akhras, ventenne
studentessa palestinese, martire convinta e predestinata.
«Non mi sono permessa il lusso di parteggiare per nessuna
delle tre – mi ha detto nel camerino, concentrata nel fornire le risposte, ma
anche a riporre, nel migliore dei modi, gli indumenti nel borsone, pronta per
tornare a Roma –, perché sarei potuta essere tutte e tre e sono invece
altro, ma solo per coincidenze. È per questo che non mi permetto il lusso di
giudicare, perché nessuno di noi ha scelto. Sì, certo, mi sento più vicina alla
docente ebraica, che non alla marines statunitense, ma questo dipende dalla
cultura, dal mio background e anche qui siamo di nuovo al cospetto delle
fatalità».
Credo in un solo Dio è davvero un geniale spunto teatrale, che il giovane
regista, supportato magistralmente da Enrico Fink, chansonnier ufficiale della
rappresentazione, nonché band leader dell’orchestra multietnica di Arezzo, che
scandisce il tempo e la sofferenza del testo, ha deciso di affidare all’estro e
all’istrione di Amanda Sandrelli, straordinaria soprattutto nell’indossare la
mimetica della soldatessa americana, per poi liberarsene in favore di un
abbigliamento assai più sobrio e proletario, come quello della giovane
palestinese che sceglie la via del martirio, per vendicare le infamie subite
dalla sua popolazione, velocissimo cambio virtuale di scena per truccarsi a
dovere e diventare, con un semplice girotondo sul palco, l’elegante docente di
storia.
Un vortice di emozioni e stati d’animo
offerti con la discrezione che dovrebbe esser cara a noi giornalisti, immagini
nitide e chiare che non si discostano dal nero serale della protagonista su una
triplice realtà che si dà appuntamento in un bar di Gaza, in una sera di
aprile, dove le tre storie verranno irreparabilmente a contatto, un epilogo
storico, politico ed esistenziale che sembra assolvere tanto l’estremismo
suicida della giovane palestinese, quanto il tentativo di capire e trovare una
via d’uscita da parte della più matura docente di storia ebraica, fino a
salvare anche il distratto e inconsapevole coinvolgimento della soldatessa
americana, spettatrice disinteressata, ma spietata, di una contesa ideologica,
religiosa e morale che stenta a leggere, prima ancora di capire.
Tutto questo sotto i colpi battenti di
Luca Baldini, al basso, o con il sottofondo di una nenia araba intonata da
Enrico Fink, o nello struggente e assordante lamento della viola e del violino
di Natalia Orozco e Mariel Tajirai, o per provare a spiccare il volo e andare
lontano, molto lontano, con il melodico messaggio del sax baritono di Danny De
Ritis.
Amanda pare guidare il suono e il
viaggio di una colonna sonora onnipresente ma mai invasiva, fino a celebrarne l’epilogo
grazie ad un’architettonica modulazione timbrica, che la immerge e sottrae,
sistematicamente, da quelle tre donne alle quali è convinta di poter somigliare
maledettamente, solo se la vita l’avesse fatta essere altro.
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Domenica 18 dicembre 2011 – ©
Quarrata/news 2011]
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