lunedì 19 dicembre 2011

ETICHETTE LIBERATORIE



Per l’articolo di oggi vale la stessa premessa di quello intitolato «Lungo la Bure» (vedi).
Detto questo, vi racconto che stamani sono andato a Quarrata, dove la terza domenica del mese si tiene un mercato dell’antiquariato.

 È rimasto un solo banco, quello di un libraio di Firenze che ne ha un altro fisso in piazza della Libertà.
Sembra che il sindaco abbia promesso di rivitalizzare il tutto, che è quasi morto da quando hanno chiesto tutte le abilitazioni, autorizzazioni, visa, certificati e via dicendo, in ordine.
Comunque, il libraio è rimasto. Ho comprato un opuscolo intitolato «Diavolerie, magie e incantesimi nella pittura barocca fiorentina» e un «ristretto con tavole», cioè un compendio, di geografia per insegnanti elementari degli anni 1940, come il maestro Dino Vailati della saga dei Vallisèra.
Intorno al banco alcuni parlavano dei due senegalesi ammazzati a Firenze.
Le solite cose.
La gente ragiona per stilemi sociologici, confortata in ciò da preti e presuli aridi.
Avessero detto, come facevano preti e suore di una volta, «pregherò per la sua anima».
Niente, solo sociologia.
Uno sciagurato ne uccide altri due e poi si ammazza. Razzismo, razzismo. Cortei e bande daffori. Fiaccole, scaldamani, piumini monclair.
Il solito copione. Vi sembra che uno di questi tanti cortei consolatori abbia cambiato qualcosa? Se ne fanno per ogni causa: contro la camorra, contro la mafia, contro il razzismo.
Con quale risultato? Zero.
Si butta tutto in sociologia. Importante è esserci e senza una «più ampia e pregnante visione sociale» non ci sei proprio.
Ma per piacere!
Sono rassegnato. Ho fatto al computer tanti rettangolini con su scritto «e chi se ne frega», li ho stampati e via via li incollerò sugli articoli che recano autorevoli dichiarazioni.
Lo so, sono un superficiale ma avevo bisogno di questo piccolo espediente liberatorio.
Autorità d’ogni regno e d’ogni levatura dichiarate quello che volete, tanto ho le mie etichette; se finiscono, le ristampo.
Tutto questo è stato provocato da quanto ho udito la mattina, ma l’idea dei bigliettini mi è venuta al paese mentre andavo dalla Madonna della Neve alla Pievaccia, dove giocano a golf.
Ero a piedi, con il cane, a piedi pure lui. La strada attraversa uliveti e quercete. Ci sono anche cipressi «alti e schietti».
L’idea delle etichette anti-retorica mi ha dato sollievo. Ho camminato un bel po’ e sarebbe andato tutto bene se, tornato a casa, non avessi acceso il televisore.
Davano il telegiornale.
Arriva Schifani, e passi. Arriva Casini, e passi pure lui. Ma la manifestazione fiorentina antirazzista, che la piazza era tutta piena, no, quella no!
Ho fatto in tempo ad appiccicare un’etichetta anche sul monitor.
Antonio Nardi
[18 dicembre, 2011]
* * *
Dall’assoluto alla retorica sociale

Quando il contenitore è completamente vuoto e siamo ormai alla consistenza del guscio di cicala, allora si arriva alla retorica: una forma di cui si vuole fare sostanza, una perfetta e pura inconsistenza che intende sostituire la persona e l’anima delle persone e delle anime.
Questo post di Antonio (vedi), come sempre, colpisce a fondo.
Sono, in buona sostanza, le stesse cose che ho pensato anch’io.
Anch’io sarò un superficiale, si vede. Asociale e privo della capacità di capire l’assolutezza della sociologia. Del resto, per me, l’assoluto è ben altro che le chiacchiere umane.
Di tutta questa faccenda ho fatto appena tre righe (vedi) e mi sono rifiutato di scrivere qualsiasi altra considerazione, proprio perché quello che hanno detto tutti è finanche troppo per essere qualcosa.
Mi sono chiesto se un qualsiasi che una mattina si alza, ammazza due persone, poi va a mangiare un panino, ricarica un’arma e riparte per ammazzarne altre, sia un razzista o un folle.
Pensateci bene: è andato – a quel che abbiamo letto – a mangiare un panino ed è tornato in giro per continuare la sua opera.
Se ne sono dette di tutte. A cominciare dal fatto che era un silenzioso, un taciturno… E che vuol dire? Lo sono anch’io, ma non per questo vado in giro a freddare la gente.
Ecco perché Antonio ha ragione.
Troppa sociologia e nient’altro. Fa male alla salute. Ai cervelli no, perché ce ne sono più pochi in circolazione.
Troppi gusci di cicala in giro. E frasi fatte senza senso.
Ed ecco in che Italia ci ritroviamo.
e.b. blogger
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Lunedì 19 dicembre 2011 – © Quarrata/news 2011]

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