lunedì 8 luglio 2013

SE SI CHIAMA FESTIVAL BLUES, UN MOTIVO CI SARÀ


di LUIGI SCARDIGLI

Lucky Peterson scende tra il pubblico e lo surriscalda – Robert Cry chiude in bellezza dopo che Robben Ford aveva sedotto e incantato la piazza

PISTOIA. Non ci vuole, moltissimo, ad organizzare un buon Festival Blues, anche quello del prossimo anno: tre giorni di luglio, venerdì, sabato e domenica, il secondo fine settimana del mese è forse l’ideale, come quasi sempre, del resto. Le danze le facciamo aprire a Robert Cray, sabato scateniamo l’inferno con Lucky Peterson e la domenica ci congediamo con la poesia di Robben Ford; prezzo unico, 20 euro, ma senza seggioline.

Cosa ne verrebbe fuori non lo so, ma ci si potrebbe provare. Lo dico a rassegna terminata e lo scrivo quando anche la strumentazione di Robert Cray, che ha chiuso la quinta ed ultima sera della 34esima edizione, è già stata riposta sul tir che lo porterà in chissà quale altra città. A cantare. Prima delle loro singole esibizioni, provando a mettere in discussione il maschilismo regnante del Festival, consiglio anche una breve, ma non avara, ouverture affidata, rispettivamente, a Cristiana Romoli (venerdì), Donatella Pellegrini, Indra Brocchi e Cristina Salotti (tutte e tre insieme, il sabato, nella versione nickettes, ma senza Becattini) e Angela Esmeralda (domenica: l’ho sentita ieri sera per la prima volta, la giovane barese, è portentosa): conosco tutte e cinque e pensando al sound dei tre americani, credo che il mio accoppiamento possa essere accettato.
Torniamo al Festival. Anche ieri – nemmeno qualcuno avesse fatto una macumba a Giovanni Tafuro -, la gente è accorsa in piazza. Una poco rosea previsione che l’organizzazione ha provato a tingere di speranza installando, ancora una volta, le seggioline, con i posti numerati. Non ci voleva molto ad immaginare che tener fermo e buono Lucky Peterson sarebbe stata un’impresa, soprattutto con le pupille tanto dilatate: detto fatto, perché dopo i brani eseguiti alle tastiere, imbracciata la chitarra, l’artista di colore è sceso dal palco e ha continuato a cantare tra il pubblico. Silvano Martini e gli altri della security, seppur felici, da amanti e cultori della musica, del fuori programma, hanno dovuto faticare non poco a ripristinare, subito dopo l’escursione, un ordine decisamente fuori luogo.
Per fortuna che dopo Fortunato Peterson, sul palco, sia arrivato l’elegantissimo professore di scienze innaturali, Robben Ford, che ha reso alla piazza la calma che occorreva fino al punto di suggerire, alla platea, di abbassare le palpebre: così si vola meglio, così si arriva più lontano e solo così ci si può convincere che si tratti di un sogno, anziché essere la realtà. Una decina di brani molti dei quali relativi all’ultima fatica discografica, senza alcun favore alla piazza, senza dietrologie: il nuovo Robben Ford, però, che ha finalmente reso noto il suo marchingegno (si è fatto installare un diaframma femminile), somiglia sempre di più quello degli esordi, con tutta la raffinatezza acquistata nel tempo; fratello di Pat Metheny e cugino di Lee Retenour, del resto, il suo futuro guarda nuovamente al suo passato, quello del battesimo degli Yellowjackets, parenti naturali degli Special Efx e acquisiti degli Step Ahead.
Il sipario l’ha chiuso Robert Cray, sicuro e tassonomico, come sempre, ma un briciolo meno eccitato e dunque eccitante di quanto non lo siano stati, senza ombra di dubbio, seppur per motivi diametralmente opposti, i due colleghi che l’hanno preceduto sul palco.
Già oggi partiranno i primi siluri: si inizierà dai numeri degli spettatori, passando, automaticamente, a quelli degli incassi. I musi lunghi si accentueranno, quelli ottimisti faranno difficoltà a mantenere il sorriso. Qualcosa non va, questo è certo ed occorre correggere il tiro, ma in corso d’opera.
Io c’ero, comunque: per scriverne bene e per scriverne male. Ma per scriverne.

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Foto di Luigi Scardigli.
[Lunedì 8 luglio 2013 | 06:21 - © Quarrata/news]

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