Un’incredibile storia di ferrovie che
sono pubbliche ma sono private, che sono private ma che sono pubbliche – E il
popolo paga Freccerosse e ‘regionali veloci’ con 30 minuti di ritardo…
Caro prof. Bianchini,
Le scrivo per sfogarmi di un Paese, l’Italia,
che amo enormemente per le bellezze naturali e artistiche, per la storia, per
la cultura, per le tradizioni, ma che sta diventando sempre più stretto a me,
come a molti altri, per le inefficienze, la mancanza di senso del dovere, la
totale assenza di senso di responsabilità. Forse è vero, come Lei scrive
spesso, che l’Italia non può salvarsi. Molti se la prendono con i nostri
politici di destra e di sinistra, colpevoli senza dubbio e senza appello, ma
essi sono solo lo specchio di una società corrotta che si è ormai perduta
completamente nella “cultura dello scaricabarile”. Molti lavorano alla meno,
per tirare a campare, per arrivare a sera, cercando di non assumersi alcuna
responsabilità, pronti a rivendicare però sempre tutti i diritti.
MEGLIO TRA I CANGURI
CHE TRA LE SINISTRE
DELLA FINANZA
Caro
Federico,
rammenti
come eravate arrabbiati quando in classe, di prima mattina, spesso e
volentieri, iniziavo la lezione di greco o di latino analizzando rapidamente le disfazioni di questo per così dire Paese?
Arrabbiati,
mi accusavate di disfattismo. Ma io l’Italia la conoscevo bene: l’avevo vista
negli anni 50 e 60, l’avevo vissuta negli anni successivi. e mi bastava.
Anzi, me ne avanzava.
Quand’ero
ragazzo, se la Cassazione sentenziava e se lo faceva la Costituzionale, il
giorno dopo era tutto a posto: si cominciava ad adeguarsi. Senza tanti
discorsi.
Ora
guarda la storia dell’acqua bene comune e della sua
ripubblicizzazione. O guarda gli spettacoli immondi che, di volta in volta,
offrono i palazzi di giustizia (rigorosamente con la minuscola) fra scandali
e prese di posizione politicizzate.
Non
sono i politici che non vanno, caro Federico. È che sia i politici, sia
quelli che dovrebbero tener gli occhi addosso a loro, perché maneggiano i
nostri quattrini, non fanno un bel nulla.
Che
Berlusca ce lo voglia tirare in tasca è anche naturale, credo.
Ma
che proprio la sinistra sia diventata più finanzista dei “padroni dei
baccellai” e che contribuisca a impoverire l’Italia, questo è davvero vomitevole.
E
finché tutti questi cinci gonfi e sussiegosi non la smetteranno e non
ci riporteranno alla nostra povera italica lira, mandando a fandòmo la
Merkel, l’€uro e l’alta finanza, sarà meglio, sì, scappare in Australia.
Tra
i canguri si sta indubbiamente meglio che fra i parassiti e le caste.
Pènsaci, Giacomino…!
Edoardo Bianchini
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Lo sfogo nasce da un episodio se
vogliamo banale, che sarà sicuramente capitato a molti. Dovendo partire per
Milano, ho prenotato un treno Frecciarossa con partenza alle 8 da Firenze. Arrivo
previsto ore 9,40. Accidenti, penso, solo 1,40 ore di viaggio per 250 km e al
prezzo di soli 50 euro (20 centesimi a km). Per me che sono un tifoso dell’uso
dell’auto è stata una piacevole sorpresa. Faccio il biglietto su internet. Non
devo nemmeno stampare il biglietto perché arriva direttamente sul telefonino.
Mi fanno anche la fattura che, come libero professionista, posso scaricare,
visto che è un viaggio di lavoro. Sulle comunicazioni varie trovo che sul treno
ho un servizio hostess, uno snack di benvenuto, il giornale oltre, ovvio, il
posto riservato. Che bello, penso, finalmente un servizio all’altezza di un
paese moderno.
Un dubbio però già si insinua in me,
sentore dei problemi che poi scoprirò. Devo prima raggiungere Firenze! Da
Pistoia c’è un treno alle 7,03 che dovrebbe arrivare alle 7,30. Non si fa il
biglietto su internet, non c’è nessuna hostess, non c’è il giornale, il posto
non è prenotato ma sicuramente più sporco che sul Frecciarossa, costa 14
centesimi al km, ma, mi dico, accidenti, arriverà almeno all’orario previsto,
tenendo conto del fatto che comunque ho un margine di mezz’ora. Invece, pur
avendo come stazione di origine la stessa Pistoia, e pur essendo battezzato col
nome di “regionale veloce” il mio treno già alla partenza viene annunciato con
un ritardo di 10 minuti. Al quarto d’ora faccio presente al capotreno che ho
una coincidenza da prendere ma mi sento rispondere che lui è di Trenitalia e
non c’entra nulla perché il ritardo è colpa di RFI.
Ecco qua la verità per la quale il
nostro Paese affonda, nessuno dei presenti è mai colpevole, la responsabilità è
sempre di un altro, certamente assente in quel momento. E allora capisco quegli
amici che negli ultimi tempi sono emigrati in Inghilterra o in Australia. Non è
solo per il lavoro che si va via, ma perché l’Italia non sembra dare alcun
segnale di capacità di resurrezione. Rimaniamo ancorati al fondo, incapaci di
tornare a guardare in alto e lontano, come seppero fare i nostri lontani
antenati. Quando Arnolfo di Cambio pensò la cupola di Santa Maria del Fiore progettò
un’opera che, per le conoscenze tecniche dell’epoca, non poteva essere
realizzata. Ma l’immaginazione e soprattutto la fiducia verso il progresso che
Arnolfo di Cambio e i suoi coevi avevano verso le generazioni future dava un
senso ad un sogno, la Cupola, che venne realizzata 130 anni dopo da
Brunelleschi. La fiducia nel futuro era tale che si poteva credere senza timore
che ciò che era impossibile presto sarebbe stato realizzato.
Oggi tutto questo non c’è più. Manca il
senso della storia, non solo il senso di appartenere ad un Paese con un passato
glorioso, ma anche il senso di essere parte di un percorso che attraversa i
secoli e, quindi, è assente il desiderio di contribuire anche con un piccolo mattoncino
alla realizzazione di una grande opera d’arte.
Ora Le scrivo da una comoda poltrona,
mentre sorseggio un succo d’arancia, sul Frecciarossa delle 9, avendo perso
quello delle 8. Già, perché il “regionale veloce” ha accumulato un ritardo
complessivo di 33 minuti, impiegando cosi un’ora tonda tonda per coprire quei
30 km che separano l’incivile arretratezza dalla normalità di un Paese che una
volta era considerato grande.
Con stima,
Federico Gorbi
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Lunedì 2 dicembre 2013 | 10:32 - © Quarrata/news]
Dice bene, Sig. Gorbi :"un Paese ( perchè non chiamarla Nazione?) che una volta era considerato grande." Una volta....
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