lunedì 2 dicembre 2013

MURO SENZA TEMPO


di LUIGI SCARDIGLI

Sulle note fedelissime dei Pink Floyd un articolato dramma familiare

LAMPORECCHIO. L’augurio, affatto peregrino, è che Rogers Waters, una delle divinità generazionali della rock band più teatrale del corso della musica, questo riadattamento teatrale del suo The Wall, abbia modo di vederlo. Primo per rimanere sbalordito dalla fedeltà riproduttiva, quasi ossessiva, si può dire maniacale con la quale, la cover band romana dei Sound Eclipse (Stefano Cacace alla voce, Marco Zannu alle chitarre, Emanuele Puzzilli alla batteria, Andrea Agati al basso ed Emiliano Zanni al synt) sia riuscita nell’intento di fotocopiare il sound originale dei Pink Floyd e del loro capolavoro del 1969.

Secondo, per applaudire Angelo Longoni, il regista, bravo a saltellare tra ante e post, l’amore ai tempi dei primi corteggiamenti a quello del dramma degli arresti, con sequenze che sorvolano un bell’arco di tempo con naturale lentezza e a contestualizzare un dramma senza tempo, senza appesantirlo di inutili orpelli, né decidendo di zavorrarne qualcosa credendo di doverlo necessariamente snellire, per trasportarlo nel tempo e portarlo fin sul palco del teatro di Lamporecchio, dove ieri sera si è consumato il secondo appuntamento stagionale.
Terzo, ma non ultimo, perché Eleonora Ivone ed Ettore Bassi, che si sono fatti scivolare gli applausi addosso come fosse cosa che non li riguardasse o come se quel rumore fragoroso che è giunto dalla platea, continuo, ritmato, di apprezzamento, fosse troppo per loro, sono veramente bravi. Bravi nel recitare il meno possibile, capaci di slacciarsi dall’ansia del gradimento e di riadattare, sul palco, quello che, in quelle sconcertanti situazioni (carcere, arresti domiciliari, giochi sporchi di potere), si consuma tra le mura domestiche, dove spesso i muri sono troppo sottili perché le cose non giungano anche fuori e con altrettanta fatalità troppo spessi affinché da fuori qualcuno senta le grida di dolore e decida di correre in soccorso.
Queste le impressioni che abbiamo ricevuto di primo acchito: scendendo nello specifico ci pare doveroso sottolineare il gusto con il quale la scenografia si è preoccupata di porre la musica, asso portante della rappresentazione, alle spalle dei due protagonisti, come se fosse una consolle nascosta, velata all’impatto da una coltre di fumo sulla quale sono scorse le immagini dei video dei Pink Floyd. E come i due giovani mattatori si siano perfettamente incastonati tra le pieghe di un capolavoro leggendario come lo è, oltre ogni irragionevole obiezione, l’opera massima dei Pink Floyd, gruppo rock generazionale, un vero e proprio spartiacque sonoro e non ora, a distanza siderale dalla loro apparizione, ma ai tempi della loro proposizione al pubblico, diviso, all’epoca, tra la voglia romantica di sognare e la crudezza del rock meno disposto a compromettersi.
A tutto non si può certo non aggiungere la gradevolezza estetica dei protagonisti: carucci, come si dice nella loro Roma, presentabilissimi, piacevoli, quel tanto da lasciare il segno senza superarlo, quella bellezza che si nota ma che non stordisce, che produce una scia, ma non irrita, che ben dispone, fusa e confusa ad un bel lavoro psicofisico e impreziosito dalla esse di pezza di Eleonora Ivone, un vezzo distintivo, un neo che dona e ulteriormente ingentilisce un gracile giunco capace di sorridere alle avversità.
Si poteva forse scegliere un altro epilogo, alla rappresentazione: meno ottimista, più realista, devastante. Il muro sarebbe rimasto in piedi, fiero e forte, anche al cospetto di una fine lacerante, dolorosa, schizofrenica, cruenta, meno politicamente corretta. Si poteva scegliere anche un altro teatro, uno di quelli meno esposti alla gelida tramontana come lo è quello di Lamporecchio, dove gli abbonati, forse, di muri, non ne vogliono sapere.

Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
Foto di Luigi Scardigli.
[Lunedì 2 dicembre 2013 | 08:46 - © Quarrata/news]

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