di Luigi
Scardigli
Occorre che proceda con ordine, per parlarvi del concerto
che si è tenuto ieri sera al Wallace
di Prato, in piazza Mercatale. Non certo perché un live sia una novità,
in uno dei pub più attenti alla musica della Toscana, ma per quello che ha
voluto comunicare, riuscendo a concentrare una serie poderosa di emozioni nell’angusto,
ma caloroso spazio del palco, tutte molto pregiate.
Inizio dal fondo, per cronologia d’amicizia (parolone
grosso, questo, prendetelo con tutto il beneficio di inventario e senza
lasciarvi travisare da facebook). Quella che ho avuto il piacere di
sottoscrivere proprio poco prima dell’esibizione con Marco Confetti, batterista
giustamente stimato nei paraggi e non solo. Segue la band con disinvoltura, scaldando
tom e rullanti con puntualità e eleganza, per arrivare ad usare, in modo appropriato
e conciliante, i piatti, che brillanta nei momenti opportuni.
Di Marco Andy Luotto
Polidori ho già avuto modo di dirvi qualcosa, sempre dalle pagine telematiche
del nostro blog: è uno di quei bassisti consapevoli di avere ancora un po’ di strada
da fare, ma ha da tempo ingranato una marcia da crociera che gli consente un’andatura
stabile, crescente, con pochi sbalzi umorali, l’ideale per un progressivo
assestamento verso l’alto; una crescita musicale esponenziale, la sua, che si
addice parecchio al groove delle band che lo assoldano.
Mick Beneforti è un fiume in piena. La sua chitarra pare non
volersi più accontentare di un amplificatore, un’irruenza tanto poderosa quanto
umile, un’energia che gli permette di acquisire una dimestichezza acustica e timbrica
veramente ragguardevoli; era ieri, se non sbaglio, che il ragazzo osservava di
nascosto le svisate del suo maestro Nick Becattini, custodendole, di notte,
gelosamente nella teca delle proprie aspirazioni e lavorandoci duro sopra di
giorno, per rielaborarle e rivenderle. Sono disposto a scommettere sulle sue
doti di navigazione, omaggiate da quella dote di cortesia e umiltà che nella
musica, sovente, concedono bussola, nafta e ciurma.
Chiudo con il sax di Cris Pacini. Che non è uno strumento,
ma poesia, a livello cristallino, coraggio da crociata, sonorità operistica, fantasia
inimmaginabile e fragilità cosmica. Spero davvero, Cris, che tu riesca
definitivamente a voltare questa pagina del tuo libro tenuta, ma dimenticata,
per troppi anni aperta sullo stesso tavolino impolverato. Prima che nei tuoi
confronti, Cris, hai un dovere – dal quale non puoi
davvero più sottrarti – nei confronti di tutti quelli che ti conoscono, che sono le
centinaia di strumentisti che litigano per averti al loro fianco nelle session
e le migliaia di persone che vengono ad ascoltarti, restando puntualmente a
bocca aperta, quando la tua si chiude per stringere tra le labbra il sax. Ti
vogliono tutti un sacco di bene, sai, Cris: quelli che ti invidiano e quelli
che ti ammirano.
Ti voglio bene anch’io, parecchio, che ti invidio e ti
ammiro.
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Venerdì 2 dicembre 2011 – © Quarrata/news 2011]
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