di Lorenzo Cristofani
Partendo
dall’incontro del 3 maggio in Sala Terzani alla San Giorgio – La necessità di
riconsiderare tutto per non ingessare l’intera città – Aspettando ‘Dialoghi sull’uomo’
e Salvatore Settis
PISTOIA. Cronaca (e spunti di
riflessione) sull’incontro-dibattito “Regolamento Urbanistico: Passato,
Presente, Futuro. Quali prospettive per gli strumenti urbanistici a Pistoia?”
Questo il tema della giornata di giovedì 3 maggio scorso presso la sala Terzani
della biblioteca San Giorgio, Alessio Bartolomei – candidato a sindaco per il
Terzo Polo e la lista civica Pistoia futura – e Giampaolo Pagliai i protagonisti.
Pochi i
presenti in verità, un segnale, questo, non certo ottimo per la democrazia
partecipata e la cittadinanza attiva dei pistoiesi.
Peggio ancora il fatto che
si trattasse di cittadini della città
murata – e cementificata –, quella nell’immagine
cioè, che si è espansa a macchia d’olio fuori dalle mura medicee negli ultimi
60 anni; nessuno quindi a rappresentare le realtà del vasto e disomogeneo
territorio comunale, la città
policentrica, per intendersi, quella lungo le vie Fiorentina e Bonellina,
sulle colline e in montagna, due realtà storicamente contrapposte e restie,
ancora, a fare sistema.
La dimensione
urbanistica, vale la pena ripeterlo, rimane il luogo d’elezione della politica,
la dimensione che più concretamente e autenticamente influenza l’esistenza reale
del cittadino, a 360 gradi.
Un sindaco
che in 10 anni non riesce ad approvare un regolamento urbanistico (R.U.)?
Interdetto dalla politica, come minimo e come atto dovuto. Gli attori
principali, nella scrittura di un R.U., sono: architetti, geometri, geologi,
agronomi-forestali, ingegneri e periti. Solo direttamente. Una serie di interessi
collettivi troppo importante, quindi, per lasciare che in maniera casereccia venga
liquidato un R.U. come quello che recentemente avrebbe rischiato di vedere la
luce.
Perché
rivendicarne con orgoglio l’affossamento
? Alcuni vizi capitali: mancato coordinamento coi piani provinciali, assenza di
una preventiva consultazione con gli ordini professionali e pericolosa
sovrapposizione con le dinamiche dell’edilizia. Fissazione tutta italiana,
quella di normare la complessità e prevedere il prevedibile: l’urbanistica non può occuparsi di edilizia,
non ha senso cioè normare gli involucri.
Di fatto
si era arrivati a un quadro normativo così pesante da risultare a tratti
contraddittorio; il quadro conoscitivo era, invece, inconsistente, vista la
georeferenziazione sbagliata, là dove c’era, delle zone ad alto rischio
idraulico. Il nuovo sarebbe stato possibile solo per i soliti noti e grossi
operatori economici; impossibilità, poi, il peccato
originale, di metter mano agli edifici anteriori al ’53, di fatto considerati
storici, alla stregua del battistero e del campanile del Duomo. Una
iattura, per la buona prassi del costruire
sul costruito e del riqualificare,
anche e soprattutto impiantisticamente, strutture obsolete ed energivore, che
vanificherebbe gli sforzi di chi – e in Italia ce ne sono già alcuni
– vorrebbe dire stop al consumo di territorio.
Tralasciando
poi gli attriti, tra velate illegittimità e un malcelato autismo – difetto di comunicazione – con la macchina
comunale, perché si sono allora susseguiti appelli alla responsabilità, allarmismi
e proclami, in stile alto e ornato da parte della maggioranza, per far approvare
questo strumento urbanistico?
Semplice,
per motivi politici
ed elettorali: la prova provata era fornita da chi sosteneva appunto l’esigenza
di mettersi alle spalle un capitolo e ricominciare a lavorare con un nuovo
piano strutturale.
È stato
uno spreco economico, per le diverse commissioni consiliari andate così in fumo?
No, gli sprechi che gridano vendetta sono quelli perduti nell’operazione delle aree
ex Breda, aggravati dalla volontà di non aver realizzato case popolari,
essendo tuttavia disponibili i fondi.
La strada
per ripartire? Pratiche più semplici e responsabilità dei tecnici che tornano a costruire qualità urbana: di
qui l’idea di lasciare scolpito il nome del progettista sulla facciata di un’opera:
viviamo della credibilità personale per
ciò cha abbiamo fatto, per questo far leva sulla responsabilità del
progettista sarà strategico.
Questi i
principi generali, qualche atto concreto e simbolico, metafora di una nuova
stagione politica? La promozione di un concorso internazionale per un monumento
all’acqua (era
l’ora!), indissolubilmente legata all’identità storica, alla vocazione (gli opifici, la Magona granducale, le gore..)
e alla geografia pistoiese; riaprire piazza Mazzini al transito delle auto
evitando un angusto e insensato percorso ad U in via Antonini, utile solo a
creare traffico e disagi alla mobilità generale. Restituire, infine, ruolo e
voce al Consiglio comunale e per estensione ai cittadini tutti, che (anche
su questo blog) hanno il diritto-dovere di condividere contributi e
suggerimenti, specie per le grandi opere.
* * *
Il
dibattito conclusivo ha visto inaspettatamente quattro interventi incentrati
unicamente, forse per l’assonanza col cognome del candidato a sindaco, su quel
famigerato parcheggio in San Bartolomeo.
Per questo
tema è il caso però di riservare un post apposito, magari aspettando i Dialoghi sull’uomo in cui verrà a
parlare quel noto Salvatore
Settis che farà letteralmente dannare quanti anelano a tale struttura in
luogo dell’antico orto monastico.
Si dà
infatti il caso che questo paladino dei beni culturali e ambientali
abbia ricevuto e letto il noto libro, prodotto da uno
scatto di civismo dei pistoiesi, e, verosimilmente, sparerà qualche autorevolissima
cannonata, come suo solito,
sulla deriva cementista/sviluppista che attanaglia e porta indietro, non in
avanti, il belpaese.
Ma siamo già
in un altro capitolo.
Cliccare
sull’immagine per ingrandirla.
[Lunedì 7
maggio 2012 - © Quarrata/news 2012]
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