di Andrea Mazzei (*)
PISTOIA. Ricorre quest’anno il centenario della
scomparsa di Antonio Pacinotti (17 giugno 1841 – 24 marzo 1912), uno scienziato
italiano nato a Pisa e adottato dalla nostra città di Pistoia, che nella
seconda metà del’800 ha reso possibile lo sviluppo della “macchina reversibile
in corrente continua” grazie alla sua invenzione dell’anello (1).
La “macchina”
funzionava sia come generatore in corrente continua che, come motore,
alimentando in corrente continua i conduttori dell’indotto, sempre attraverso “spazzole
metalliche”; le varie possibilità d’alimentazione del sistema induttore (con
dei poli induttori, fissi nello statore della macchina), consentivano una
gestione molto flessibile della coppia motrice e della velocità, come motore.
Sicuramente, l’invenzione
di Pacinotti ha contribuito in modo importantissimo allo sviluppo delle
applicazioni dell’elettricità, in particolar modo per l’industria e nell’ambito
dell’automazione.
I motori
costruiti secondo i suoi princìpi, hanno permesso lo sviluppo della trazione
elettrica ferroviaria che ha sostituito la trazione a vapore in certi casi fin
da prima della seconda Guerra Mondiale; anche nell’ambito dei bagni galvanici
nell’industria, nella conversione da corrente alternata a corrente continua
prima della nascita degli attuali convertitori statici (inverter) e per l’automazione in genere: la macchina reversibile in
“corrente continua” è stata una fondamentale applicazione.
Nonostante
questi meriti, il centesimo anniversario della sua scomparsa è passato quasi
inosservato, fatta eccezione per gli ambienti accademici della sua città
natale, Pisa.
Forse si
dovrebbe ricordarlo con più gratitudine e anche con l’orgoglio che si deve a un
cittadino italiano – adottato dalla nostra città – che ha veramente fatto qualcosa d’importante
per la storia dell’umanità intera.
A Pistoia, poche
persone conoscono l’esistenza della residenza dello scienziato: “Villa
Pacinotti” si trova in località Caloria, sopra l’abitato di Candeglia, in
prossimità della nota Pieve di Valdibure ed è oggi curata da un discendente
dell’illustre scienziato, il Prof. Gianni Malatesta, che gestisce l’attività di
produzione olearia derivata dalla coltivazione del secolare podere annesso alla
Villa (vedi).
L’ingresso alla
casa di Pacinotti è davvero suggestivo per la presenza degli arredi originali
dell’epoca e di alcuni strumenti di laboratorio utilizzati per le sperimentazioni.
Oggi è peraltro possibile soggiornare nel riservato e incantevole residence,
realizzato nelle case che prima erano dimora dei contadini che coltivavano il podere
di proprietà di Pacinotti (vedi).
L’auspicio del
curatore e proprietario della casa è che si riesca a trovare un modo che
permetta ai cittadini di Pistoia –
così come a studiosi o turisti –
di poter conoscere i luoghi dove ha vissuto l’illustre scienziato, che permetta
il restauro e il mantenimento degli arredi e delle suppellettili presenti nella
casa, senza che gli oneri gravino solo sugli attuali proprietari.
«Forse – afferma il prof. Malatesta – basta veramente poco per ricordare
degnamente questo grande personaggio, che ha dato così tanto all’intera
comunità mondiale. L’attività dello scienziato Pacinotti è stata di grande
impulso per lo sviluppo dell’Italia del periodo post-risorgimentale e credo che
sia giusto ricordarla ancorché all’epoca sia stata incompresa e soggètta a
qualche probabile frode nella distrazione di alcuni brevetti», quella, ad esempio, del brevetto della
macchina da parte di un perito francese, Zenòbe Gramme, di cui il professore
può illustrare le motivazioni (n.d.r.).
Una targa in
marmo – apposta dal Comune di Pistoia nel 1960 sulla facciata della villa –
rievoca l’opera dell’onorabile concittadino, raffigurato nelle fotografie d’epoca
e presente con i suoi carteggi e con documenti tecnici autobiografici
disponibili all’interno della residenza. L’auspicio è quello che il patrimonio
non vada perduto e che resti fruibile a chi voglia consultarlo, nel rispetto
del luogo e della conservazione del prezioso materiale.
1. L’anello consisteva in un disco di metallo
ferromagnetico facente parte del rotore della “macchina” dove i conduttori dell’indotto
rotante erano collegati in serie e disposti secondo una sequenza angolare tale
per cui funzionando come generatore, e quindi con l’indotto mosso da un motore
primo, la “macchina” generava corrente elettrica di fatto raddrizzata, continua,
prelevabile attraverso dei contatti striscianti (le “spazzole”).
(*) – Ingegnere elettronico e professore di
fisica.
Cliccare sull’immagine
per ingrandirla.
[Venerdì 21
settembre 2012 - © Quarrata/news 2012]
Nessun commento:
Posta un commento
MODERAZIONE DEI COMMENTI
Per evitare l’inserimento di spam e improprie intromissioni, siamo costretti, da oggi 14 febbraio 2013, a introdurre la moderazione dei commenti.
Siamo dispiaciuti per i nostri lettori, ma tutto ciò che scriveranno sarà pubblicato solo dopo una verifica che escluda qualsiasi implicazione di carattere offensivo e penale nei loro interventi.
Grazie.