sabato 29 settembre 2012

UFO, L’ARCHITETTURA DISCONTINUA PER LA PRIMA VOLTA AL CENTRO PECCI


di Niccolò Lucarelli

Al Pecci un’interessante mostra che anticipa le inquietudini per la cementificazione del territorio – Resterà aperta fino al 3 febbraio 2013

PRATO. Prosegue al Centro Pecci (vedi) il percorso d’indagine sull’architettura contemporanea. Dopo la mostra dedicata a Superstudio, è adesso la volta del collettivo radicale Ufo, che interpreta l’architettura nel segno della discontinuità. Al quale viene adesso dedicata, per la prima volta in assoluto, una retrospettiva completa, visitabile dal 30 settembre 2012 al 3 febbraio 2013.

Nato nel 1967, il collettivo divenne operativo nel 1968, un anno cruciale sotto molti aspetti, e l’architettura non fece eccezione. Erano gli anni della contestazione, del miracolo economico, del progresso tecnologico e dell’industrializzazione selvaggia, e Ufo – costituito da architetti, urbanisti, designer, ma anche performer veri e propri –, esordì alla Triennale di Milano con un vero e proprio spettacolo teatrale che era un’aperta contestazione delle abitudini sociali e dei riferimenti architettonici tradizionali, al quale si ricollegano gli allestimenti per boutique, discoteche, locali in genere, attraverso i quali lo spazio urbano del piacere e del consumo viene parodiato in modo favolistico e visionario.
In questo si notano accostamenti alla Pop Art americana, ad esempio nel Letto-formaggio, creato per una boutique di Viareggio, un oggetto d’arredo che ricorda Claes Oldenburg. Icona del gruppo, per quanto riguarda il design, la lampada Dollaro, del 1969.
Carlo Bachi, Lapo Binazzi, Patrizia Cammeo, Riccardo Foresi, Titti Maschietto – questi i membri di Ufo – possono essere visti come veri e propri agitatori, perturbatori della scena architettonica, con lo scopo di lanciare un allarme su quanto stava accadendo: le periferie urbane, compresa quella fiorentina, stavano conoscendo il cancro dell’espansione urbana incontrollata, che si traduceva in ettari ed ettari di terreno agricolo coperti dal cemento della speculazione edilizia. Furono i primi a concepire il suolo come una risorsa finita, e a interessarsi per un suo utilizzo consapevole e disciplinato; furono i primi a capire che l’architettura stava trasformandosi in un mostro che avrebbe divorato il territorio. Le loro campagne passarono inascoltate, ma quanto da loro intuito oltre quaranta anni fa, è oggi una drammatica realtà.
Ma la società, spiega Binazzi, stava per essere aggredita anche da un mostro tentacolare più subdolo e invisibile: la burocrazia, indispensabile alla nuova, a tratti insensata, “società dei servizi” che stava nascendo in quegli anni cruciali. Questa negazione burocratica dell’abitare e del costruire venne documentata nel reportage fotografico Casa Anas, del 1969, dove le casette della manutenzione stradale vengono fatte assurgere a simbolo di cattiva architettura, lontana dalle esigenze umane del quotidiano. Liberare il territorio diviene così l’urgenza del collettivo, le cui performance vogliono sensibilizzare l’opinione pubblica su quanto sopra.
Oggi, ne resta una bella pubblicazione, Ufo Story, dall’architettura radicale al design globale, e una mostra, entrambe curate dal Centro Pecci. E, la soddisfazione, forse un po’ magra, di aver capito in anticipo alcune problematiche moderne.

Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
Nella foto: Performance a Firenze, 1968
[Sabato 29 settembre 2012 - © Quarrata/news 2012]

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