di Niccolò Lucarelli
Al Pecci
un’interessante mostra che anticipa le inquietudini per la cementificazione del
territorio –
Resterà aperta fino al 3 febbraio 2013
PRATO. Prosegue al Centro Pecci (vedi) il percorso d’indagine sull’architettura
contemporanea. Dopo la mostra dedicata a Superstudio, è adesso la volta del
collettivo radicale Ufo, che interpreta l’architettura nel segno della
discontinuità. Al quale viene adesso dedicata, per la prima volta in assoluto,
una retrospettiva completa, visitabile dal 30 settembre 2012 al 3 febbraio
2013.
Nato nel 1967,
il collettivo divenne operativo nel 1968, un anno cruciale sotto molti aspetti,
e l’architettura non fece eccezione. Erano gli anni della contestazione, del
miracolo economico, del progresso tecnologico e dell’industrializzazione
selvaggia, e Ufo –
costituito da architetti, urbanisti, designer, ma anche performer veri e propri
–, esordì alla Triennale di
Milano con un vero e proprio spettacolo teatrale che era un’aperta
contestazione delle abitudini sociali e dei riferimenti architettonici
tradizionali, al quale si ricollegano gli allestimenti per boutique, discoteche,
locali in genere, attraverso i quali lo spazio urbano del piacere e del consumo
viene parodiato in modo favolistico e visionario.
In questo si
notano accostamenti alla Pop Art americana, ad esempio nel Letto-formaggio,
creato per una boutique di Viareggio, un oggetto d’arredo che ricorda Claes
Oldenburg. Icona del gruppo, per quanto riguarda il design, la lampada Dollaro, del 1969.
Carlo Bachi,
Lapo Binazzi, Patrizia Cammeo, Riccardo Foresi, Titti Maschietto – questi i membri di Ufo – possono essere visti come veri e propri
agitatori, perturbatori della scena architettonica, con lo scopo di lanciare un
allarme su quanto stava accadendo: le periferie urbane, compresa quella
fiorentina, stavano conoscendo il cancro dell’espansione urbana incontrollata,
che si traduceva in ettari ed ettari di terreno agricolo coperti dal cemento
della speculazione edilizia. Furono i primi a concepire il suolo come una
risorsa finita, e a interessarsi per un suo utilizzo consapevole e
disciplinato; furono i primi a capire che l’architettura stava trasformandosi
in un mostro che avrebbe divorato il territorio. Le loro campagne passarono
inascoltate, ma quanto da loro intuito oltre quaranta anni fa, è oggi una
drammatica realtà.
Ma la società,
spiega Binazzi, stava per essere aggredita anche da un mostro tentacolare più
subdolo e invisibile: la burocrazia, indispensabile alla nuova, a tratti
insensata, “società dei servizi” che stava nascendo in quegli anni cruciali.
Questa negazione burocratica dell’abitare e del costruire venne documentata nel
reportage fotografico Casa Anas,
del 1969, dove le casette della manutenzione stradale vengono fatte assurgere a
simbolo di cattiva architettura, lontana dalle esigenze umane del quotidiano.
Liberare il territorio diviene così l’urgenza del collettivo, le cui performance
vogliono sensibilizzare l’opinione pubblica su quanto sopra.
Oggi, ne resta
una bella pubblicazione, Ufo Story,
dall’architettura radicale al design globale, e una mostra,
entrambe curate dal Centro Pecci. E, la soddisfazione, forse un po’ magra, di
aver capito in anticipo alcune problematiche moderne.
Cliccare sull’immagine
per ingrandirla.
Nella foto: Performance
a Firenze, 1968
[Sabato 29
settembre 2012 - © Quarrata/news 2012]
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