di Luigi Scardigli
La premessa della serata lasciava presagire ben altro: tavolini tondi apparecchiati alla bene e meglio, vassoi di schiacciate e affettati per tutti e un senso di mega ritrovo condominiale che pareva preludere ad una serata da balera e baldoria.
Mi ero sbagliato e grossolanamente, anche, a proposito della prima presentazione live di Free – l’album che vedrà la luce proprio in questi giorni su tutto il pianeta informatico e discografico –, avvenuta, ieri sera, nemmeno a dirlo, al circolo Arci di Santomato, il Tito’s carbonaro del ventunesimo secolo. Mi ero sbagliato perché anche dal vivo, anzi, soprattutto dal vivo, le impressioni avute, raccolte, riassunte e già scritte sul nostro Blog dopo aver ripetutamente ascoltato la registrazione masterizzata proprio per me, sono state tutte confermate fino in fondo. E impreziosite.
Iniziamo, per cronologia d’amicizia, da Daniele Nesi, basso e contrabbasso della band, ieri sera, per l’occasione, accompagnato dalla mamma, dalla moglie e dal loro cucciolo Pietro: inutile aggiungere ancora qualcosa; chiede e ottiene attenzioni e applausi per tutti i suoi colleghi di palco. Lui se la ride, pensando ai chilometri percorsi a piedi per arrivare dalle Fornaci alla stazione e andare a Firenze, a lezione. Oggi è un professore, che sorride e ringrazia la lunga e faticosa gavetta, quella che gli ha concesso cattedra e titoli.
Alla batteria, il signor Bloisi, Carmine Bloisi, batterista sonnolento, che riesce a scrollarsi di dosso il torpore solo quando l’ambiente si surriscalda (e ieri sera, l’atmosfera, si è fatta ad un certo punto incandescente), molto incazzato perché l’amore, da oltre tre anni, l’ha scaraventato in quel di Padova, città meravigliosa, vero, ma alla Toscana, dice lui, non manca davvero nulla, dunque, “se si fosse rimasti qui, non c’è che dire, sarei stato più felice”.
All’organo Hammond, guidato nel suono funky da quelle smorfie di dolore e gioia del suo condottiero, Keki Andrei, uno dei più intelligenti e audaci rilettori del soul di quattro decenni or sono, soprattutto perché alla guida di quello strumento che se non tirato sapientemente per i garretti, rischia, davvero, di replicarsi automaticamente, perdendo, dopo l’impatto iniziale, la giusta carica innovativo/rievocativa.
Su Vittorio Alinari (l’unico dei due special guest dell’incisione presente alla serata: l’altro è la chitarra di Andrea Braido, impossibilitato a presenziare e onorare le trombe d’Eustachio, quelle dell’anima e del desiderio degli astanti) e sui suoi sax sarà meglio che non mi sbilanci troppo: il professore, leggendo le mie note, potrebbe venirmi a cercare e strapparmi, sotto gli occhi, i pentagramma dove mi sono permesso il lusso di inciderle, invitandomi a visitare, prima di aprir bocca e peggio ancora accendere il netbook, tutta la filmografia dei fiati.
Ho deciso di chiudere le singole presentazioni con la voce, metallica, acustica e portentosa, di Andrea Ranfa Ranfagni. Il ragazzo, dalla chioma evangelica color cenere, perfettamente abbinata al grigio della barba, è un vecchio frequentatore di balere rock blues, che la sorte, fino a ieri, non mi aveva mai dato l’opportunità di incrociare. Bene, da ieri sera, la mia bacheca di piacevoli ricordi e di spunti giornalistici si è ulteriormente arricchita e impreziosita con il suo contributo, tempestivamente confermato dall’ascolto che mi son potuto godere, rincasando, sullo stereo della mia autovettura, di Little Hard Blues, il Cd che mi ha regalato come baratto, fraterno e sincero, delle cose che sappiamo fare.
Ora fatemi la cortesia di prendere questi cinque professori, metterli in un frullatore, accendere l’interruttore, dopo aver assicurato alla corrente la presa, e centrifugarli in modo tale che ne possano uscire con pantaloni a campana, capelli lunghi, giacchettini bianchi strettissimi in vita e vistose finte collane, un classico degli anni ’70: avrete sicuramente l’impressione che ho avuto io, quella di essere stato catapultato indietro nel tempo, ma con tutti i confort attuali.
La vera sfida alla musica è rimasta solo questa: il resto è presunzione.
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[Venerdì 18 novembre 2011 – © Quarrata/news 2011]
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