giovedì 16 febbraio 2012

TURONE E «LA DIRITTA VIA»: CHE SERVIREBBE ANCHE PER L’AMIANTO DI PISTOIA


di Luigi Scardigli

Non è ancora satollo e vista la forma che si può permettere di sfoggiare – a quell’età – sono profondamente convinto che di lezioni costituzionali, Giuliano Turone, l’ex magistrato, potrà ancora dispensarne per molto tempo.
Lo dico a ragion veduta, subito dopo aver assistito, al teatro Nazionale di Quarrata, al suo monologo itinerante, La diritta via, una difesa oltranzistica, forse eccessivamente partigiana, della Costituzione, avvalendosi di due complici: il gradevole pianista Mirko Lodedo, che si esibisce al suo fianco, e di un altro, profondamente ignaro, ma non per questo meno implicato, anzi, forse scatenante, Dante Alighieri.

È sul binario delle divine ma catastrofiche previsioni della Commedia e sulla farneticante mala interpretazione della Costituzione, infatti, che l’ex Magistrato milanese, Giudice Istruttore, poi Pubblico Ministero e infine Giudice di Cassazione, snoda la propria lezione giuridica: 90 minuti nei quali sfoggia, oltre che la già citata strabiliante longevità, una padronanza poliglotta di tutto rispetto e una memoria semplicemente invidiabile.
Unico neo ideologico di una posizione condivisibile e condivisa su quasi tutta la linea – dal diritto al lavoro, alla solidarietà umana nei confronti dell’immigrazione, dalla beceraggine leghista ai rischi di un salto nel vuoto più buio –, è il sorriso, nemmeno tanto ammiccato, alla nuova tecnocrazia, vista come una cesoia, spesso, più che una manna, caduta dal cielo dell’insopprimibile inesistenza dell’alternativa.
«Il paradosso – mi ha detto poco prima di sfoderare gli artigli costituzionali, pardon, di andare in scena – è che con l’omicidio Ambrosoli e con tutto quello che ne seguì, lo Stato riuscì incredibilmente a colpire il grosso, il cuore, la parte sommersa della mafia e delle sue innumerevoli infiltrazioni, senza riuscire però a soffocarle del tutto; quello che è rimasto libero si è riprodotto e ingigantito, confluendo direttamente nelle stanze dei bottoni».

Un suo stimato collega, il giudice Guariniello, è uno degli alfieri della storica sentenza torinese emessa pochi giorni fa contro i vertici dell’Eternit, la prima che squarcia un velo omicida e omertoso sull’amianto. Come mai, in altre città, quella polvere riesce a godere di immunità?

«Non credo dipenda dalla scaltrezza della polvere, ma dalla professionalità dei Giudici. Guariniello è veramente uno dei migliori in circolazione: l’augurio è che l’attendibilità della sentenza di Torino faccia da spartiacque e che a questa sentenza ne seguano altre altrettanto rigorose e cariche della stessa identica portata di giustizia, della quale, il popolo, sovrano per definizione, anzi, la Costituzione, ha pieno diritto».

Al posto del nuovo stadio, dunque, si potrebbe stanziare l’equivalente per assoldare il giudice piemontese e per capire, finalmente, se anche qui a Pistoia, negli anni del boom e del mesotelioma, l’amianto sia stato letale, come a Casal Monferrato, oppure solo una innocua presa di tabacco per il naso...

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[Giovedì 16 febbraio 2012 – © Quarrata/news 2011]

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