sabato 18 febbraio 2012

«DIODI». DIMENTICARE MAI: NON SI PUÒ, NON SI DEVE


di Luigi Scardigli

Un collage di memorie, raccolte in luoghi, tempi e stagioni diverse – Flash di pezzi di storia raccontati sessant’anni dopo il loro accadere

Tenerissimo. Pieno di buone ragioni e dolcezza, storia e rabbia, fortune e memorie, lontane, sì, ma ancora vive. Vive perché raccolte, pazientemente discusse, laboriosamente costruite, montate, smontate, riprodotte. E realizzate. Piangeva, ieri sera, Giulia Maraviglia, sul palco del cineteatro Puccini di Firenze. E aveva ragione a farlo.

Lo avrei fatto anch’io, al posto suo, se fossi stato, come lei, uno dei quattro artefici di Diodi, un docufilm sull’antifascismo, raccontato da quattro vecchi, vecchissimi protagonisti: Silvano Sarti, Aldo Michelotti, Didala Ghilarducci e Anita Malavasi, l’unica assente, quest’ultima, ma giustificata: è morta prima che il lavoro costruito in 24 faticosissimi mesi vedesse la luce. È morta serena, però, Anita: perché l’ha potuto raccontare quello che il destino bellico, assurdo, dittatoriale le ha riservato in gioventù, una macchia che non le si è più tolta dall’anima e che ha smesso di darle sofferenza solo ora, che è tornata alla terra, da dove era venuta.
Bello e sano, questo lavoro che Giulia ha avuto il merito e l’ostinazione di dividere e condividere, in parti perfettamente uguali, con i suoi colleghi registi: Domenico Scarpino, Fulvia Alidori e Saverio Tommasi. Bello e giusto, bello e utile, bello e indispensabile, Diodi, perché dimenticare è forse il più grande delitto che si possa compiere, alla storia di chi ha combattuto per regalarci un sogno e alla storia di quelli ai quali dovremmo regalarglielo.
Era pieno, ieri sera, il cineteatro Puccini, a Firenze. Era pieno di giovani amici e colleghi sociologi dei registi; ma traboccavano anche storia e memoria, per la presenza dei tre scampati protagonisti e di alcuni loro vecchi compagni partigiani che dopo essere riusciti ad evitare il fuoco nazifascista, hanno avuto la forza e la fortuna di resistere fino ad oggi. E raccontare.
È un lavoro itinerante, Diodi, perché da oggi, dopo il battesimo casalingo di ieri, il documentario dovrebbe fare il giro delle scuole italiane laddove il ricordo del dolore è ancora vivo e chi detiene le fila della ragione sente il bisogno di tramandare quella muta sofferenza che qualcuno, da un po’ di tempo a questa parte, sta cercando di cancellare contrabbandandola come un cimelio inutile.
Suggerisco le scuole secondarie, ma anche le sedi dei sindacati, incartapecoriti, quelli dei partiti, specie di sinistra e qualche circolo Casa Pound, per smettere di farneticare. Bisogna ricordare invece, perché serve, è utile; è come se alle mamme dei dissidenti berlinesi nati al di qua del filo spinato e rimasti con la vita tagliata in cerca di Occidente qualcuno volesse contrabbandare il dolore con l’attuale florida ricchezza teutonica. No, dimenticare mai, non si può, non si deve.
Diodi è un collage di memorie, raccolte in luoghi, tempi e stagioni diverse, sotto la luce bianca di una mattinata di tiepido inverno o nella calura di un pomeriggio settembrino, quando l’estate preferisce restare. Flash di pezzi di storia raccontati sessant’anni dopo il loro accadere, ma non per questo svaniti, laceri, confusi. Anzi, lo scivolare dei granelli di sabbia da un’ampolla all’altra della clessidra ha ingentilito una rabbia che ora si è fatta matura ed è pronta a dare lezioni.
È quella che hanno dato i quattro ragazzi di Firenze e due dei loro attori, i vecchi, vecchissimi Silvano e Aldo, che hanno rubato la scena, al termine della proiezione, salendo sul palco accanto ai registi e regalando, tra l’incredibile energia dell’indomito 87enne Aldo e la fioca speranza di un commosso Silvano, ancora perle di ragionevolezza, con l’invito, esplicito, a non arrendersi, a spegnere le tivvù e a scendere nelle vie per riprendersi la vita.
Diodi si apre e si chiude sulle ruote della mini mountain bike guidata da Nicola Maraviglia, il fratello più piccolo di Giulia, anche lui, acclamato e salito sul palco a raccogliere la sua fetta di notorietà. Sono convinto che la fama di ieri sera, sul piccolo Nicola, sortirà effetti magici: no, non so dirvi se da grande, il cucciolo deciderà di intraprendere la carriera del palcoscenico, come la sorella maggiore, come mamma Patrizia, che bazzica teatri da sempre o se preferirà seguire le orme paterne per mettersi dietro una cattedra a fare il professore. Chissà, forse invece diventerà un calciatore, o un astronauta o un eccezionale chirurgo, un serio impiegato, un ginnasta impareggiabile. Non so, da grande, cosa riservi il futuro a Nicola. Sono certo, però, che qualsiasi cosa la vita gli permetterà di fare, lo farà crescendo con le idee chiare e che da grande, Diodi, lo ricorderà sempre, perché da ieri sera, Nicola, ha capito quanto sia importante non dimenticare.

Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Sabato 18 febbraio 2012 – © Quarrata/news 2011]

Nessun commento:

Posta un commento

MODERAZIONE DEI COMMENTI

Per evitare l’inserimento di spam e improprie intromissioni, siamo costretti, da oggi 14 febbraio 2013, a introdurre la moderazione dei commenti.
Siamo dispiaciuti per i nostri lettori, ma tutto ciò che scriveranno sarà pubblicato solo dopo una verifica che escluda qualsiasi implicazione di carattere offensivo e penale nei loro interventi.
Grazie.