di Luigi
Scardigli
Un collage di memorie, raccolte in
luoghi, tempi e stagioni diverse – Flash di pezzi di storia raccontati sessant’anni
dopo il loro accadere
Tenerissimo. Pieno di buone ragioni e dolcezza, storia e
rabbia, fortune e memorie, lontane, sì, ma ancora vive. Vive perché raccolte,
pazientemente discusse, laboriosamente costruite, montate, smontate,
riprodotte. E realizzate. Piangeva, ieri sera, Giulia Maraviglia, sul palco del
cineteatro Puccini di Firenze. E aveva ragione a farlo.
Lo avrei fatto anch’io, al posto suo, se fossi stato, come
lei, uno dei quattro artefici di Diodi,
un docufilm sull’antifascismo, raccontato da quattro vecchi, vecchissimi
protagonisti: Silvano Sarti, Aldo Michelotti, Didala Ghilarducci e Anita
Malavasi, l’unica assente, quest’ultima, ma giustificata: è morta prima che il
lavoro costruito in 24 faticosissimi mesi vedesse la luce. È morta serena, però,
Anita: perché l’ha potuto raccontare quello che il destino bellico, assurdo,
dittatoriale le ha riservato in gioventù, una macchia che non le si è più tolta
dall’anima e che ha smesso di darle sofferenza solo ora, che è tornata alla
terra, da dove era venuta.
Bello e sano, questo lavoro che Giulia ha avuto il merito e
l’ostinazione di dividere e condividere, in parti perfettamente uguali, con i
suoi colleghi registi: Domenico Scarpino, Fulvia Alidori e Saverio Tommasi.
Bello e giusto, bello e utile, bello e indispensabile, Diodi, perché
dimenticare è forse il più grande delitto che si possa compiere, alla storia di
chi ha combattuto per regalarci un sogno e alla storia di quelli ai quali
dovremmo regalarglielo.
Era pieno, ieri sera, il cineteatro Puccini, a Firenze. Era
pieno di giovani amici e colleghi sociologi dei registi; ma traboccavano anche
storia e memoria, per la presenza dei tre scampati protagonisti e di alcuni
loro vecchi compagni partigiani che dopo essere riusciti ad evitare il fuoco
nazifascista, hanno avuto la forza e la fortuna di resistere fino ad oggi. E
raccontare.
È un lavoro itinerante, Diodi, perché da oggi, dopo
il battesimo casalingo di ieri, il documentario dovrebbe fare il giro delle
scuole italiane laddove il ricordo del dolore è ancora vivo e chi detiene le
fila della ragione sente il bisogno di tramandare quella muta sofferenza che
qualcuno, da un po’ di tempo a questa parte, sta cercando di cancellare
contrabbandandola come un cimelio inutile.
Suggerisco le scuole secondarie, ma anche le sedi dei
sindacati, incartapecoriti, quelli dei partiti, specie di sinistra e qualche
circolo Casa Pound, per smettere di farneticare. Bisogna ricordare
invece, perché serve, è utile; è come se alle mamme dei dissidenti berlinesi
nati al di qua del filo spinato e rimasti con la vita tagliata in cerca di Occidente
qualcuno volesse contrabbandare il dolore con l’attuale florida ricchezza
teutonica. No, dimenticare mai, non si può, non si deve.
Diodi è un collage di memorie, raccolte in luoghi, tempi e
stagioni diverse, sotto la luce bianca di una mattinata di tiepido inverno o
nella calura di un pomeriggio settembrino, quando l’estate preferisce restare.
Flash di pezzi di storia raccontati sessant’anni dopo il loro accadere, ma non
per questo svaniti, laceri, confusi. Anzi, lo scivolare dei granelli di sabbia
da un’ampolla all’altra della clessidra ha ingentilito una rabbia che ora si è
fatta matura ed è pronta a dare lezioni.
È quella che hanno dato i quattro ragazzi di Firenze e due
dei loro attori, i vecchi, vecchissimi Silvano e Aldo, che hanno rubato la
scena, al termine della proiezione, salendo sul palco accanto ai registi e
regalando, tra l’incredibile energia dell’indomito 87enne Aldo e la fioca
speranza di un commosso Silvano, ancora perle di ragionevolezza, con l’invito,
esplicito, a non arrendersi, a spegnere le tivvù e a scendere nelle vie per
riprendersi la vita.
Diodi
si apre e si chiude sulle ruote della mini mountain bike guidata da Nicola
Maraviglia, il fratello più piccolo di Giulia, anche lui, acclamato e salito
sul palco a raccogliere la sua fetta di notorietà. Sono convinto che la fama di
ieri sera, sul piccolo Nicola, sortirà effetti magici: no, non so dirvi se da
grande, il cucciolo deciderà di intraprendere la carriera del palcoscenico,
come la sorella maggiore, come mamma Patrizia, che bazzica teatri da sempre o se
preferirà seguire le orme paterne per mettersi dietro una cattedra a fare il
professore. Chissà, forse invece diventerà un calciatore, o un astronauta o un
eccezionale chirurgo, un serio impiegato, un ginnasta impareggiabile. Non so,
da grande, cosa riservi il futuro a Nicola. Sono certo, però, che qualsiasi
cosa la vita gli permetterà di fare, lo farà crescendo con le idee chiare e che
da grande, Diodi, lo ricorderà sempre, perché da ieri sera, Nicola, ha
capito quanto sia importante non dimenticare.
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[Sabato 18 febbraio 2012 – © Quarrata/news 2011]
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