di Lorenzo Cristofani (*)
Tradotto
in svariate lingue come una delle massime vette dell’ermetismo, Le mura di
Pistoia di Pietro Bigongiari è un libretto di piacevoli componimenti che si
ispirano, nel titolo, a quella città
murata che ha costituito il carattere identitario dei pistoiesi degli
ultimi circa mille anni. Le mura sono per Pistoia quello che il porto è per una
città di mare: tutta una serie di immagini, quadri e allegorie magnifica e
fissa le mura nelle stampe, a partire dal Seicento, e nei gloriosi quadri del
museo civico, ricordando il legame indissolubile tra questo limite fisicizzato
e pistoiesi. Pistoiesi che per l’appunto non smetteranno fino al 1800 di
chiamare Patria la loro città e
soltanto quella, difendendone l’identità civile che ha perso il fondamento dell’autonomia
e rappresentando quella stessa nelle mura.
Lungi dal
riprendere quell’inenarrabile saga di riqualificazioni
leggendarie, su cui è già aperto un filone letterario, mi limito ora a ripercorrere
quelle dolorose ferite che spero di stemperare e lenire, almeno in parte,
attraverso la scrittura, come sempre nella storia dell’umanità si è fatto per tentare
di superare un triste passato.
Le mura di
Pistoia e la poesia ermetica abbiamo detto, ma anche l’ermetismo (questo proprio
indecifrabile però) delle amministrazioni comunali (attuali e trascorse) e del
loro operato e le mura, da queste ermeticamente
considerate e trattate. Su un lato infatti, quello lungo il viale che
–sempre con le parole del Bigongiari – d’Arcadia
porta l’ironico nome, sono state serenamente lasciate crollare senza alcun
consolidamento statico o adeguamento strutturale; sul lato meridionale invece,
che ora guarda, tra gli altri, il piccolo Colosseo di Pistoia (1), sono state
puntualmente ripulite e rafforzate… per costruirci, però, case di discutibile
pregio a ridosso (2)!! Come non bastasse si continua poi a concedere licenze
per scavare e costruire, come prima, più di prima, anzi peggio di prima (3)! Questo
in spregio al piano Cervellati che prevedeva non solo di monitorare le mura ma
anche di tentare di ripristinarle, disponendole alla vista dei cittadini,
liberandole comunque da quelle attività incongrue sorte invece diffusamente a
ridosso, come serre e vivai lungo la Brana(4) (dove è avvenuto il crollo). In
spregio anche al buon senso e alla retorica, sempre sbandierata, di riqualificare il sistema difensivo delle
mura medicee recuperando manufatti storici e il verde limitrofo, attraverso
piani unitari di valorizzazione, progetti attuativi integrati e … sempre il
solito frasario dell’ immobilismo!
Ripenso
ora al piano, inserito in quello più generale per le aree ex-Breda, “per la via
Pacinotti e la via Zamenhof”, che prevedeva le mura sud completamente libere da
edifici, con tanto di piano di demolizione in quattro tempi successivi, e
attrezzate ad ospitare permanentemente l’esposizione dei vivaisti, con
passerelle in legno per scavalcarle da via Pacinotti appunto e scendere in via
Zamenhof. Il progetto era considerato appunto il punto più elevato, insieme all’Arboreto,
per gusto e invenzione, dell’attività vivaistica a Pistoia, una prova di eden
terreno insomma. E invece ecco che al posto di pergolati, spazi pedonali e
sistema del verde espositivo, che tuttora, 2012, manca nella città delle
piante, si continua a svilire le mura, a negarne, non dico tanto il valore
culturale della storia e del paesaggio, ma proprio la qualità urbana, minima,
che sarebbe necessario trovare lì a sud, dove quella abnorme e soffocante colata
di cemento che svuoterà il centro storico arriverà quasi a fondersi, proprio
alle mura. Ecco perché serviva quella fascia di compensazione, per garantire
spazi per l’aria e per l’incontro, pensate al paradosso (siamo a carnevale ma
non è uno scherzo): esiste proprio “Piazzatta dell’Incontro”, nel passaggio
pedonale tra via Pacinotti e via Zamenhof, a fianco della garitta(5), ma quando
tutto attorno sarà cementificato a malapena sarà possibile il passaggio. Questo
monumento diffuso, candidato d’ufficio al riconoscimento Unesco contro il buon
gusto, si completa nella parte finale di via Pacinotti, verso via di Porta
Lucchese, dove ci sono le nuove costruzioni prima accennate (2), sempre
addossate alle mura, sempre soffocate tra strada e altri edifici, e sempre fuori
da un piano logico di mobilità/residenza/città/riqualificazione. Allego qualche foto, certo che sappia lei come
meglio utilizzarle e disporle per renderne il senso.
Concludo quindi
citando una frase del responsabile del museo paleontologico di Isernia,
ascoltata qualche domenica fa su Rai3 nella trasmissione Presa Diretta –
Emergenza cemento –, che, criticando lo
sperpero di milioni di euro pubblici destinati alla cultura, usati per un
faraonico auditorium anziché per potenziare un sito archeologico trai più
importanti d’Europa, concludeva «… perché qui scopriamo le nostre origini, quando
eravamo meno imbecilli di come siamo ora».
(*) –
Carissimo Bianchini,
le scrivo
come semplice e libero cittadino, sperando di poter condividere qualche
considerazione personale in questo libero e apprezzatissimo blog.
Con stima,
Lorenzo Cristofani
In effetti
questa lettera merita tutta la nostra attenzione e considerazione.
e.b.
Cliccare
sull’immagine per ingrandirla.
[Domenica
19 febbraio 2012 – © Quarrata/news 2011]
condivido tutto quanto dice Cristofan, che, anzi, ringrazio per quanto ci ha fatto leggere. L'amarezza è grande nel vedere con quanta superficialità e ignoranza dei valori culturali della città si sta operando, ormai da anni in ambito urbanistico. Il Piano De Carlo è stato demolito per volere della speculazione, che ha trovato nell'amministrazione comunale totale disponibilità: in questo i vari Sindaci non si sono discostati da questa linea di condotta. Gli edifici in via Pacinotti sono esemplari a questo proposito, così come il nuovo ospedale. Fa male constatare la sostanziale indifferenza, o acquiescenza, delle categorie professionali: quanti tecnici del settore, quali ordini hanno protestato per quseto immondo andazzo? Solo qualche, inascoltata, pecora nera, espulsa dal "branco".
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