di Luigi Scardigli
L’amianto è una polvere sottilissima
che si annida nell’eternit: quasi invisibile, specie a Pistoia. In altre città
invece, qualcuno l’ha vista perfettamente e l’ha addirittura individuata al
punto da ritenerla persino responsabile di 1.830 decessi e 1.027 parti lese.
È questo il sunto numerico della
storica sentenza emessa stamani dal Tribunale di Torino e che ha visto la
condanna del magnate svizzero Stephane Schmidheiny, 65 anni e del barone belga
Louis De Cartier a sedici anni di reclusione perché colpevoli dei reati a
loro contestati: disastro doloso e omissione dolosa di misure infortunistiche
negli stabilimenti di Casale e Cavagnolo, in Piemonte, dal 1999 in poi.
Il carcere non è mai una soluzione,
nemmeno in questo caso, ma sono i numerosi zeri dei risarcimenti ad aprire una
vera e propria voragine creata da una giustizia che non è stata per nulla
cauta, stavolta, men che mai mansueta, affatto clemente: 25 milioni di euro al
Comune di Casale, 4 quello di Cavagnolo, 15 all’Inail, 20 milioni alla Regione
Piemonte e 100 mila euro ai Sindacati che si sono dannati per questa battaglia;
a ciascun parente delle vittime andranno 30.000 euro di risarcimento, per un
totale complessivo che si aggirerà attorno ai 95 milioni di euro, mentre 100
mila euro andranno all’Associazione vittime dell’amianto e 50 mila euro a
Romana Blasotti Pavesi, la pasionaria, come è stata amorevolmente
ribattezzata la Presidente dell’Associazione, che non ha mai smesso di
rivendicare il diritto e il dolore.
«Mi auguro che questa sentenza faccia la storia, la storia
della verità – racconta Marco Vettori, Presidente del Consiglio Comunale di
Pistoia, ex operaio Breda in guerra con il tumore ai polmoni che sta provando
ad ucciderlo –. Il Tribunale di Torino, stamattina, ha dunque sentenziato
che la via della giustizia, lenta e farraginosa quanto si voglia, si può
davvero arrivare ad asfaltarla fino in fondo, condannando i colpevoli e
risarcendo le vittime. A Pistoia, nei processi d’amianto, è successo di tutto:
condanne civili con tanto di risarcimenti e assoluzioni penali; certo, nel
momento più delicato del dibattimento si scelse la discutibilissima via della
trattativa, anziché quella della costituzione di parte civile, un grande
autogol, parzialmente lenito da una serie di risarcimenti assegnati ai parenti
di alcune vittime. Ma i morti d’amianto, in città, sono tanti, troppi e non
sono ancora finiti, purtroppo».
«Da oggi però – ha continuato a raccontare Vettori – si
riapre una speranza, confortata dalla giustizia che ha finalmente fatto il
proprio corso, il proprio dovere: in questa città poi, le archiviazioni, sono
state davvero anomale, troppe: speriamo che la sentenza di Torino si attesti
come un vero e proprio precedente e che d’ora in avanti, oltre a rigidi sistemi
di controllo e prevenzione, chi si è arricchito sul mesotelioma con il quale
sono stati uccisi gli operai, paghi il conto, lo paghi tutto. Ed è per questo,
ad esempio, che proprio oggi pomeriggio, a nome dell’intero Consiglio Comunale,
sarà inviata una lettera ad Amato e Drago, rispettivamente Presidente del
Tribunale di Pistoia e Presidente della Procura affinché, quanto prima, in
città, venga inviato un altro giudice del lavoro che sostituisca l’uscente De
Marzo, promosso in Cassazione: ci auguriamo tutti che il nuovo abbia le
competenze, il coraggio e l’onestà di chi l’ha preceduto».
Sedici anni fa, da un’idea di Lorenzo
Gori, fotografo del Tirreno, mi feci coinvolgere in un progetto
cinematografico, che ha visto la luce e l’edizione solo dieci anni dopo; un
mediometraggio dal titolo unsisapeanulla: si è raccontata la vita e la
morte degli operai in Breda, tra una vena di poesia decadente e alcune loro
testimonianze dirette.
Qualche nobile protagonista, inventato
attore, nel frattempo, è morto, ma non di vecchiaia.
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Lunedì 13 febbraio 2012 – ©
Quarrata/news 2011]
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