lunedì 13 febbraio 2012

PER I GIUDICI DI TORINO L’AMIANTO UCCIDE DAVVERO


di Luigi Scardigli

L’amianto è una polvere sottilissima che si annida nell’eternit: quasi invisibile, specie a Pistoia. In altre città invece, qualcuno l’ha vista perfettamente e l’ha addirittura individuata al punto da ritenerla persino responsabile di 1.830 decessi e 1.027 parti lese.
È questo il sunto numerico della storica sentenza emessa stamani dal Tribunale di Torino e che ha visto la condanna del magnate svizzero Stephane Schmidheiny, 65 anni e del barone belga Louis De Cartier a sedici anni di reclusione perché colpevoli dei reati a loro contestati: disastro doloso e omissione dolosa di misure infortunistiche negli stabilimenti di Casale e Cavagnolo, in Piemonte, dal 1999 in poi.

Il carcere non è mai una soluzione, nemmeno in questo caso, ma sono i numerosi zeri dei risarcimenti ad aprire una vera e propria voragine creata da una giustizia che non è stata per nulla cauta, stavolta, men che mai mansueta, affatto clemente: 25 milioni di euro al Comune di Casale, 4 quello di Cavagnolo, 15 all’Inail, 20 milioni alla Regione Piemonte e 100 mila euro ai Sindacati che si sono dannati per questa battaglia; a ciascun parente delle vittime andranno 30.000 euro di risarcimento, per un totale complessivo che si aggirerà attorno ai 95 milioni di euro, mentre 100 mila euro andranno all’Associazione vittime dell’amianto e 50 mila euro a Romana Blasotti Pavesi, la pasionaria, come è stata amorevolmente ribattezzata la Presidente dell’Associazione, che non ha mai smesso di rivendicare il diritto e il dolore.
«Mi auguro che questa sentenza faccia la storia, la storia della verità – racconta Marco Vettori, Presidente del Consiglio Comunale di Pistoia, ex operaio Breda in guerra con il tumore ai polmoni che sta provando ad ucciderlo –. Il Tribunale di Torino, stamattina, ha dunque sentenziato che la via della giustizia, lenta e farraginosa quanto si voglia, si può davvero arrivare ad asfaltarla fino in fondo, condannando i colpevoli e risarcendo le vittime. A Pistoia, nei processi d’amianto, è successo di tutto: condanne civili con tanto di risarcimenti e assoluzioni penali; certo, nel momento più delicato del dibattimento si scelse la discutibilissima via della trattativa, anziché quella della costituzione di parte civile, un grande autogol, parzialmente lenito da una serie di risarcimenti assegnati ai parenti di alcune vittime. Ma i morti d’amianto, in città, sono tanti, troppi e non sono ancora finiti, purtroppo».
«Da oggi però – ha continuato a raccontare Vettori – si riapre una speranza, confortata dalla giustizia che ha finalmente fatto il proprio corso, il proprio dovere: in questa città poi, le archiviazioni, sono state davvero anomale, troppe: speriamo che la sentenza di Torino si attesti come un vero e proprio precedente e che d’ora in avanti, oltre a rigidi sistemi di controllo e prevenzione, chi si è arricchito sul mesotelioma con il quale sono stati uccisi gli operai, paghi il conto, lo paghi tutto. Ed è per questo, ad esempio, che proprio oggi pomeriggio, a nome dell’intero Consiglio Comunale, sarà inviata una lettera ad Amato e Drago, rispettivamente Presidente del Tribunale di Pistoia e Presidente della Procura affinché, quanto prima, in città, venga inviato un altro giudice del lavoro che sostituisca l’uscente De Marzo, promosso in Cassazione: ci auguriamo tutti che il nuovo abbia le competenze, il coraggio e l’onestà di chi l’ha preceduto».
Sedici anni fa, da un’idea di Lorenzo Gori, fotografo del Tirreno, mi feci coinvolgere in un progetto cinematografico, che ha visto la luce e l’edizione solo dieci anni dopo; un mediometraggio dal titolo unsisapeanulla: si è raccontata la vita e la morte degli operai in Breda, tra una vena di poesia decadente e alcune loro testimonianze dirette.
Qualche nobile protagonista, inventato attore, nel frattempo, è morto, ma non di vecchiaia.

Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Lunedì 13 febbraio 2012 – © Quarrata/news 2011]

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