di Luigi Scardigli
Quando Fleming, nel 1904, scoprì il
diodo, non aveva lontanamente messo in conto che oltre un secolo dopo, quattro
ragazzi armati di arsura, decidessero di intitolare così – con il nome del
componente elettrico attivo a permettere il flusso di corrente
unidirezionalmente – il loro primo documentario. Che sarà proiettato venerdì
prossimo, 17 febbraio, al Teatro Puccini di Firenze (Cascine) alle ore 21
(ingresso 7 euro). I quattro sono Domenico Scarpino, Fulvia Alidori, Saverio
Tommasi e Giulia Maraviglia e sono figli di una generazione che non ha smesso
di pensare che un altro mondo sia ancora possibile. Già, ma come?
«Credo che attraverso il racconto della gente – mi dice in un’intervista
surreale, fatta su facebook (incredibile!), Giulia Maraviglia, 28enne, laureata
in Sociologia, ricercatrice Universitaria ed estratta non certo a caso dal
quartetto registico (papà Valerio e mamma Patrizia vivono e lavorano a Pistoia:
lui insegna, lei fa parte del teatro Manzoni) – si ottengano due grandi
elementi: la storia che si tramanda e le impressioni, le emozioni con le quali
si decide di farla arrivare al destinatario che con il tempo si farà a sua
volta carico e mittenza di nuove esperienze».
Forse è solo una giornalista mancata,
Giulia Maraviglia, ma la cinepresa e la telecamera, sorretta in mano, guidata e
non sofferta, sono un grande sogno che si trascina dall’adolescenza. Diodi
in effetti, è proprio questo: due donne e due uomini, tutti partigiani, che
hanno combattuto per qualcosa che si è poi realizzato, scoprendo però che non
era quello che si aspettavano.
«Abbiamo sentito il dovere forte, insopprimibile, di capire
dove fossimo e perché ci fossimo arrivati: abbiamo ritenuto opportuno confidare
nel racconto dei nostri nonni, partigiani, certo, ma prima di tutto nonni e
attraverso la loro storia siamo forse riusciti a capire un po’ meglio la nostra».
«Sono letteralmente rapita dalle foto e dai documentari degli
altri; il mio tempo libero lo trascorro, quasi unicamente, ad informarmi di
queste cose: non è solo la bellezza del lavoro ultimato a sorprendermi, ma
anche e soprattutto il lavoro meticoloso e certosino con il quale si arriva al
compimento di un’idea concepita molto tempo prima. Lavorare con i miei tre
amici è stato tanto bello e interessante, quanto faticoso, ma essere arrivati
alla fine del lavoro è stata una grande soddisfazione. Che ci auguriamo tutti
sia solo la prima di una lunga serie. Con questo documentario avremmo la
pretesa di girare l’Italia presentandolo davvero con un mix di cinema, storia,
giornalismo e sociologia, un filo narrante sul quale restano sospesi, in attesa
di mutazioni e contaminazioni, colori, odori, sensazioni, umori, mutazioni
ambientali con le quali il prodotto si ricreerà altrove e sprigionerà altre
necessità, altri confronti, altri documentari».
L’idea di provare a battere altre
strade, al momento, non sembra lontanamente coinvolgerla, né tanto meno
solleticarla.
«Sono al debutto, non ho ancora la minima idea di quale possa
essere la risposta del pubblico. Certo, crediamo in questo lavoro al di là di
ogni ragionevole apprezzamento, ma si chiama Diodi e se la nostra carica
elettrica non arriva a destinazione, qualcosa, nel circuito, non deve aver
funzionato al meglio».
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Martedì 14 febbraio 2012 – ©
Quarrata/news 2011]
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