di Luigi
Scardigli
Parlare di camorra a Pistoia – nonostante anche che, dalle
nostre parti, la grande organizzazione criminale campana, investa parte della
sua ricchezza, probabilmente –somiglia alla conversazione che potrebbe svilupparsi
tra un malato terminale di cancro e un suo coetaneo sano: hai voglia a capire;
ma se non hai i tentacoli della malattia che ti divorano, anche la solidarietà,
lascia il tempo che trova.
Sarà dipeso da questo, forse, o dal fatto che lo spettacolo
andato ieri sera in scena, al teatro Manzoni di Pistoia, non faceva parte del
cartellone e fosse fuori abbonamento, per non trovare, da parte del pubblico
(pistoiese-sano) la giusta attenzione.
Gomorra, per la regìa di Mario Gilardi, fedelmente ispiratosi a
Roberto Saviano, grazie alle scenografie borderline di Roberto Crea, ai
costumi di Roberta Nicodemo, le musiche metropolitane di Francesco Forni e le
videoproiezioni di Ciro Pellegrino –
raccontato da Ivan Castiglione, Francesco Di Leva, Giuseppe Gaudino, Giuseppe
Miale Di Mauro, Adriano Pantaleo ed Ernesto Mahieux, malati terminali di una
realtà che solo vivendoci, se ne può essere uccisi tutti i giorni –, non ha avuto il successo aspettato.
La sala infatti, gremita mercoledì mattina di studenti
assetati di realismo, ieri sera, era più vuota che piena.
Le metastasi della camorra, altrove, Pistoia compresa, con
molta probabilità, sono curabili solo con la chemioterapia: quella terra,
quella gente, circoscritta dal sole, dal mare, dall’immondizia e dall’illegalità,
non può essere più aiutata in alcun altro modo; bisogna solo trovare il
coraggio di bombardare le cellule malate e provare a vedere se le rimanenti
sane siano in grado di consentire al corpo, martoriato, vilipeso, tradito e
contaminato, di sopravvivere.
Teatro civile, quello di ieri sera, cosparso di aculei di
verità, quelli che raccontano che la trincea partenopea difende una retrovia
vastissima, nella quale si crogiolano i fasti del nord che sopravvive alle
spalle dei loro fanti di prima linea, ai quali chiedono di sparare, uccidere,
terrorizzare, cercando, contemporaneamente, angoli di terra abbandonata e
nascosta dove seppellire i loro scarichi abusivi, pericolosi, malati, velenosi.
Quasi due ore di denunce, di accuse per nulla velate,
tratteggiate dalla violenza poetica e patetica dei ragazzi, quelli di Scampia,
Casal di Principe, Secondigliano, Caivano e buona parte dell’hinterland
napoletano appaltato all’unica società per azioni che funziona e paga, la
camorra, che non hanno conosciuto altra realtà che la loro, malata e
indescrivibile, e che fingono di credere che altre non esistano. Un urlo
disperato che sembra non trovare più conforto e speranza, un grido che lacera i
tappi che gli spettatori inermi e inerti si sono messi nelle orecchie per non
udire più le sirene della polizia, carabinieri e dell’autoambulanze correre sul
luogo di una nuova mattanza, che ha mietuto, negli ultimi venti anni, più
vittime della faida palestinese.
Il teatro, a Scampia e dintorni, oltre che essere un
megafono di denuncia, è anche una scappatoia, onesta e civile, per tutti quelli
che sanno dove si acquistano i kalashnikov per difendersi.
Non voglio essere distruttore a forza, ma quel che è giusto è
giusto. E va detto.
E tra le verità che si respirano in questo Paese senza
speranza e senza aspettative né prospettive – che è l’Italia
e, quindi, Pistoia –, c’è anche la disillusione assoluta da parte della gente
comune, quella reale, rispetto alle vere possibilità di riscatto.
Roberto Saviano ha urlato con il suo libro. E ha continuato
a urlare anche con l’adattamento teatrale della sua opera. Ha avuto fama e
successo: il fenomeno (mediatico: che è ciò che interessa oggi) è concluso ed
esaurito.
Il problema resta sempre il punto di snodo: il continuare a
dilagare della illegalità urlato anche (inutilmente, penso) dalla Corte dei
Conti, che parla di corruzione inarrestabile e moltiplicata, ma che, di fatto,
con i colleghi delle Procure, impianta azioni molto modeste e che non
convincono, alla fine, proprio nessuno.
E per essere cattivi fino in fondo, come richiede il
mestiere della critica e della cronaca, è chiaro che al mattino lo spettacolo di
Gomorra ha raccolto il pieno delle scuole: nella scuola si parla di
queste cose. Tanto. Anche troppo.
Ho detto si parla: e non a caso.
Perché poi, aldilà delle parole, spesso e volentieri, un
allievo che non si allinea sul «pensiero dominante» e sull’etica e ottica della socializzazione di classe,
viene preso di mira e opportunamente bloccato, se non costretto ad allinearsi.
Perché l’essenziale, in questo nostro grandioso mondo
liberal-democratico, in cui si parla di tutto e soprattutto di legalità, è
saper parlare: e non agire, magari anche rimettendoci di persona.
E la camorra continua.
e.b.
blogger
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[Venerdì 24 febbraio 2012 – © Quarrata/news 2011]
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