di Luigi Scardigli
Ho visto Acab, ieri sera, al
cinema Roma.
L’ho fatto dopo aver letto per caso il
pacato risentirsi di Andrea Carobbi Corso, che ha scritto a questo Blog
inviando un comunicato del Sindacato autonomo di polizia (Sap), del quale è
segretario provinciale.
Invito Andrea, amico fraterno, a
rivederlo, il film di Stefano Sollima (tratto dall’omonimo romanzo di Carlo
Bonini), specializzato, il regista, in letture di personaggi borderline (Romanzo
criminale), perché non è una gratuita e cinematografica mistificazione
della celere.
Certo, il Cobra (Favino), Mazinga
(Giallini) e Negro (Nigro), la divisa della celere la indossano 24 ore al
giorno, certe volte a scapito della vita che dovrebbero vivere fuori dalla
dimensione professionale, alcune volte anche esagerando, ma Andrea lo sa
benissimo, come me, del resto, che certi mestieri non sono solo professioni,
tra l’altro pagate male, ma stili di vita: poliziotti lo si è tutto il giorno,
come giornalisti, del resto.
E questo lo sa anche Sollima, il
regista di Acab (acronimo di All cops are bastards – tutti i
poliziotti sono bastardi), che ha simpaticamente esasperato alcuni caratteri,
ma senza tracimare nel fantascientifico.
Perché Cobra esiste veramente, è un
celerino che vive da solo, destrorso, certo, grafico autodidatta dell’epopea
dell’antica Roma, quella di hic sunt leones, illuso di poter incarnare
il senso di giustizia e fedeltà, che conosce i rischi, ma non li teme e che
soprattutto, per un collega – i suoi soli amici – è disposto a tutto. Come
Mazinga, del resto, marito di una poliziotta e padre di un ragazzo, minorenne,
che frequenta un circolo di estrema destra e che crede che il male di vivere
siano gli extracomunitari e che la giustizia ci si possa fare da sola, e che è
pronto a rinnegarlo, pubblicamente. È realtà e non fantasia, anche Negro, che
si è innamorato di un’avvenente cubana, dalla quale ha avuto una bambina; il
matrimonio è finito, l’amore per la figlia no, ma nonostante un affido
temporaneo, il celerino, di fronte al dovere, lascia la piccola in caserma,
nelle mani fidate di alcuni colleghi, per andare a dare lezioni.
Acab – acronimo inglese dei gruppi skin degli anni 70,
importato negli Stati Uniti un decennio più tardi e patrocinato dalla
guerriglia urbana mondiale –, è anche uno spaccato
quotidiano degli anni 90, con tre casi di nera equamente distribuiti: la
Caserma Diaz, a Genova, durante la mattanza del G8, dopo il raccapricciante
omicidio di Carlo Giuliani, l’assassinio del tifoso laziale Gabriele Sandri e
quello del poliziotto Raciti, tre momenti diversi e lontani dove il ruolo del
celerino è, nonostante tutto, al centro dell’attenzione, vittima e carnefice di
un sistema che usa ed abusa delle forze dell’ordine con chirurgica devastante
lungimiranza, versando lacrime di coccodrillo nelle funeree circostanze e
fingendo di non sapere di aver ordinato e ordito soprusi.
Di questo, del resto, ne aveva già
fatto una lucida, devastante e pericolosissima descrizione l’intellettuale del
XX secolo per antonomasia, Pier Paolo Pasolini, che tutti sappiamo a quale fine
sia stato condannato.
Kobra, però – torno al film –, come Mazinga e Negro non è solo; come te, Andrea, del
resto. I tuoi colleghi-amici, di fronte al pericolo e al bisogno, non ti
abbandoneranno.
Mai.
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Sabato 4 febbraio 2012 – ©
Quarrata/news 2011]
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