sabato 4 febbraio 2012

ACAB. UNA DOLOROSA LETTURA DELLA REALTÀ


di Luigi Scardigli

Ho visto Acab, ieri sera, al cinema Roma.
L’ho fatto dopo aver letto per caso il pacato risentirsi di Andrea Carobbi Corso, che ha scritto a questo Blog inviando un comunicato del Sindacato autonomo di polizia (Sap), del quale è segretario provinciale.
Invito Andrea, amico fraterno, a rivederlo, il film di Stefano Sollima (tratto dall’omonimo romanzo di Carlo Bonini), specializzato, il regista, in letture di personaggi borderline (Romanzo criminale), perché non è una gratuita e cinematografica mistificazione della celere.

Certo, il Cobra (Favino), Mazinga (Giallini) e Negro (Nigro), la divisa della celere la indossano 24 ore al giorno, certe volte a scapito della vita che dovrebbero vivere fuori dalla dimensione professionale, alcune volte anche esagerando, ma Andrea lo sa benissimo, come me, del resto, che certi mestieri non sono solo professioni, tra l’altro pagate male, ma stili di vita: poliziotti lo si è tutto il giorno, come giornalisti, del resto.
E questo lo sa anche Sollima, il regista di Acab (acronimo di All cops are bastards – tutti i poliziotti sono bastardi), che ha simpaticamente esasperato alcuni caratteri, ma senza tracimare nel fantascientifico.
Perché Cobra esiste veramente, è un celerino che vive da solo, destrorso, certo, grafico autodidatta dell’epopea dell’antica Roma, quella di hic sunt leones, illuso di poter incarnare il senso di giustizia e fedeltà, che conosce i rischi, ma non li teme e che soprattutto, per un collega – i suoi soli amici – è disposto a tutto. Come Mazinga, del resto, marito di una poliziotta e padre di un ragazzo, minorenne, che frequenta un circolo di estrema destra e che crede che il male di vivere siano gli extracomunitari e che la giustizia ci si possa fare da sola, e che è pronto a rinnegarlo, pubblicamente. È realtà e non fantasia, anche Negro, che si è innamorato di un’avvenente cubana, dalla quale ha avuto una bambina; il matrimonio è finito, l’amore per la figlia no, ma nonostante un affido temporaneo, il celerino, di fronte al dovere, lascia la piccola in caserma, nelle mani fidate di alcuni colleghi, per andare a dare lezioni.
Acab – acronimo inglese dei gruppi skin degli anni 70, importato negli Stati Uniti un decennio più tardi e patrocinato dalla guerriglia urbana mondiale –, è anche uno spaccato quotidiano degli anni 90, con tre casi di nera equamente distribuiti: la Caserma Diaz, a Genova, durante la mattanza del G8, dopo il raccapricciante omicidio di Carlo Giuliani, l’assassinio del tifoso laziale Gabriele Sandri e quello del poliziotto Raciti, tre momenti diversi e lontani dove il ruolo del celerino è, nonostante tutto, al centro dell’attenzione, vittima e carnefice di un sistema che usa ed abusa delle forze dell’ordine con chirurgica devastante lungimiranza, versando lacrime di coccodrillo nelle funeree circostanze e fingendo di non sapere di aver ordinato e ordito soprusi.
Di questo, del resto, ne aveva già fatto una lucida, devastante e pericolosissima descrizione l’intellettuale del XX secolo per antonomasia, Pier Paolo Pasolini, che tutti sappiamo a quale fine sia stato condannato.
Kobra, però – torno al film –, come Mazinga e Negro non è solo; come te, Andrea, del resto. I tuoi colleghi-amici, di fronte al pericolo e al bisogno, non ti abbandoneranno.
Mai.

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[Sabato 4 febbraio 2012 – © Quarrata/news 2011]

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