domenica 25 novembre 2012

LUCIANO ANGIOLI. «IL “DITTICO PISTOIA” COME MEMORIA DI UNA CITTÀ E DI UN TERRITORIO CHE MI HANNO ‘CONTENUTO’»


di Lorenzo Cristofani

Riflessioni a margine della mostra alla San Giorgio L’arte come luminosità, orizzonte possibile, ricerca, natura, sedimenti che riaffiorano combinandosi nel tentativo di liberarsi e comunicare

PISTOIA. Fino al 30 novembre sarà aperta al pubblico, nell’atrio della biblioteca San Giorgio, la mostra personale di Luciano Angioli, docente di discipline artistiche e presidente dell’Irsa (Istituto di Ricerche Storiche e Archeologiche).
Durante l’inaugurazione, sabato 10 novembre, notevole è stato l’apprezzamento generale per la principale opera pittorica, “ Dittico Pistoia”, realizzata su due grandi tavole dipinte ad acquerello sia sul fronte, che sul retro. Azzeccata pertanto la citazione da Cino da Pistoia Veduto han gli occhi miei sì bella cosa di accompagnamento al dipinto scelta dal curatore della mostra, Alessandro Andreini, architetto e amico di Luciano Angioli, nonché quella dantesca Legato con amore in un volume (Dante, Par., XXXIII, 86) operata dall’autore della presentazione Lorenzo Cipriani.
Alcuni pezzi esposti raffigurano paesaggi tipici della Toscana, immaginari ma verosimili, nei quali affiorano le famose pievi pistoiesi; altri citano meticolosamente particolari, facciate ed elementi decorativi del nostro patrimonio artistico, le pietre di Pistoia insomma. Non serve parlare per evocare e descrivere il fascino dei colori e delle forme disegnate dal maestro-pittore: la cosa migliore è recarsi direttamente alla San Giorgio e godere autonomamente e a piacimento dell’esposizione.
Il prof. Angioli è stato insegnante anche di chi scrive – cui ha trasmesso il sentimento di ammirazione, oltreché le nozioni basilari, per il patrimonio storico-artistico locale – e ha concesso a Q/news un’ intervista /chiacchierata su temi generali.

“Con l’arte non si mangia” e “l’arte costituisce il petrolio dell’Italia” sono due slogan opposti, non ancora superati. Come lo imposteresti un ragionamento per uscire da simili semplificazioni ?

Non è detto che con l’arte non si possa mangiare, ma è certo che le difficoltà sono enormi e in momenti di oggettive difficoltà come l’attuale ancora maggiori. Dovendo rinunciare a qualcosa proviamo ad immaginarci da dove si comincia. Poi cosa s’intende con mangiare con l’arte? Insegnarla è mangiare con l’arte? Vendere le proprie opere? Questa è un’altra storia.
Che l’arte, unitamente al paesaggio sia il petrolio dell’Italia non è uno slogan, ma la semplice verità.

L’arte è anche un linguaggio universale, veicolo di spiritualità e valori morali; oggi che i valori sono in crisi come è cambiata l’arte? Se, in altre parole, nel passato si viveva immersi nell’arte, intesa appunto come riflesso e rappresentazione dell’identità culturale di una società, nell’èra del consumismo e della società liquida, cosa ci comunica l’arte?

Sull’universalità del linguaggio artistico niente da aggiungere, ma sui suoi valori, specialmente se attinenti ad aspetti fondanti del pensiero umano come la spiritualità e la morale, è necessario rallentare e riflettere. E non è nemmeno necessario considerare il passato idilliaco ed il presente discutibile, perché è sempre stato così, il passato è staticizzato nei suoi canoni ed esiti formali, li abbiamo acquisiti, li abbiamo visti e rivisti, fanno parte di noi e spesso sono straordinariamente affascinanti ed espressione visibile di “quel tempo storicizzato”.
La contemporaneità no, il nostro tempo è in costruzione e lo percepiamo nella sua essenza dinamica, volubile, capace di repentini cambiamenti, perciò molto, molto discutibile, è opinione. Certo, il consumismo, ed in termini artistici il novecentesco formalismo esasperante a discapito di conoscenze, di contenuti, di valori ideali rassicuranti ha “liberato espressioni” e contemporaneamente devastato certezze. Non può più esserci uno stile connesso al tempo, ma piuttosto un marasma di voci così come ogni giorno ci rappresentiamo e proiettiamo vocianti a più non posso. Tuttavia possiamo anche dire che non è sempre così … guardiamoli gli azzurrini profili che in questi giorni incorniciano la piana pistoiese.

C’è un’arte antica e un’arte moderna e se sì, in che rapporto stanno?

Il rapporto antico-moderno quando mai è venuto meno specialmente dalla fine del settecento in poi? L’antico, ricercato o negato ha sempre ed avrà ancor più domani un peso rilevante non solo perché patrimonio, ma anche per quell’idilliaca e rassicurante percezione di ciò che è stato alla quale aggrapparsi trovandoci oggi dinanzi a devastazioni, negazioni, contraddizioni inspiegabili ed impensabili come le guerre dovute a motivi religiosi e non solo all’economia politica. Semmai proponiamoci di riflettere sull’arte e sulla sua necessità di continuare ad alimentare gli animi di chi vorrà comprenderla. Semmai continuiamo a riflettere su quale arte. Semmai ricominciamo a discernere su quale arte, non per omologarsi, non è mai stato possibile, ma per dare maggiore profondità e senso alle autenticità, alle identità, alle ragioni della nostra antica storia senza subalternità ulteriori.

Veniamo a Pistoia. Ruskin si stupiva della serie di pulpiti marmorei più ricca di tutto il mondo; in tempi moderni Paolucci, tra i tanti, ha colto l’ inusitato pregio artistico di questa città: solo i pistoiesi non sono consapevoli delle enormi potenzialità che hanno. Cosa suggerisci di fare, anche per evitare il rischio di musealizzare e mummificare la realtà?

Guido da Como –S. Bartolomeo – 1250, Fra’ Guglielmo –S. Giovanni Forcivitas – 1277, Giovanni Pisano –S. Andrea – 1301, rappresentano, insieme ad altri, ma loro sono fruibili ed altri no, un caso unico nella nostra Storia dell’Arte. Quei tre pulpiti rendono comprensibilissimi i caratteri delle arti e della cultura medievale e il loro volgere verso quelli rinascimentali. Sono davvero preziosi documenti, beni straordinari per la città, ma va anche detto che a fronte di vecchie foto in bianco e nero di Telamoni o particolari promozionali, oggi, forse, sono un po’ dimenticati. Nel recto, sul davanti del Dittico Pistoia esposto nell’atrio della Biblioteca San Giorgio ho proprio inserito l’iscrizione di Guido da Como, insieme a quella dell’architrave di S. Andrea di Gruamonte per significarne l’importanza, la memoria, la “valenza identitaria” nella quale potersi riconoscere. Non mummifichiamo niente, non musealizziamo soltanto, ma rendiamo vive le musealizzazioni, facciamo in modo che si creino occasioni di studio e di appropriazione di queste fin troppo segrete ricchezze, non ostentate, non urlate, ma presenti.

Manca ancora, nel 2012, una programmazione complessiva e integrata, un bando delle idee che dir si voglia, circa il patrimonio monumentale inutilizzato della città (svariate ex chiese, fortezza, ex conventi…), a cosa si dovrebbe puntare e come?

La situazione non è certamente delle più favorevoli, perlomeno apparentemente e pur non volendo entrare in questa sede nello specifico di bandi o programmazioni cerchiamo di avere ben presente che già nel corso del prossimo anno, ad esempio, dovrebbe completarsi il nuovo Ospedale e quindi dovrà iniziare un processo/percorso di riqualificazione di quello antico… Dicevo di condizioni “apparentemente” non favorevoli, perché invece potrebbero esserlo, perché saranno necessarie scelte attente e ponderate da più punti di vista. Che dire poi della Fortezza Santa Barbara? Una decina di anni fa ci fu un discreto fermento, una bella progettualità, ma oggi si ha la sensazione di un assopimento, di un torpore che certamente non è benaugurante. Chi ci dice, invece, che proprio dai Beni Culturali, dal patrimonio cittadino e del territorio non possa scaturire il nuovo? Perché no, l’arte, tanto antica, quanto moderna e contemporanea, il paesaggio naturale e progettato, i gioielli di borghi e paesi sparsi sulle colline e in montagna, insomma, le nostre risorse.

Quale è per te un’immagine, storica, artistica o reale, particolarmente significativa di Pistoia? Cosa rappresenta e come la descriveresti?

Ricordo una brumosa mattina autunnale di parecchi anni fa quando silenziosamente percorrevo via di Porta San Marco per recarmi verso piazza del Duomo dove c’era ancora il Pozzo e sulla Sala il Gabbione; giunto nelle vicinanze di via Pacini, sotto la via del Sale, ebbi la sensazione di trovarmi in un’opera metafisica e salendo su, verso una delle più belle piazze d’Italia, se non fosse per un lato, ma diamogli tempo al tempo, quella sensazione divenne quasi certezza. E la Sala, i frutti e le verdure, un museo vivo, e via della Torre? E, e, e, quante e, come la vecchia Forteguerriana che ci accudì da ragazzi o piazza delle scarpe Spirito Santo Sant’Ignazio e “Via Abbi Pazienza”, lo Specchio e l’Eden che non è più Eden e nemmeno Galleria Vittorio Emanuele.

Nella tua opera principale, il Dittico Pistoia, sul davanti hai citato numerose chiese cittadine e del territorio e sul retro hai invece realizzato un verosimile ma impossibile paesaggio armonioso ricco di simboli. Qual è il senso, la motivazione, di questa scelta espressiva?

Si, soffermiamoci un po’ sulle arti figurative, guardiamoci intorno e come già accennato in una precedente risposta, pensiamo al nostro tempo, all’arte novecentesca, alla forza evocativa di immagini che ci fanno percepire i travagli, le tragedie, ma anche gli entusiasmi e le illusioni del secolo scorso con forme non in linea con i secoli precedenti perché tutto è stato diverso.
Gli artisti sono stati più impegnati nella ricerca costante dello scalpore formale che di valenze condivisibili o meno. I regimi autoritari hanno imposto modalità vissute da alcuni come proprie, mentre altri le subivano. Possenti muri sono stati costruiti ed abbattuti nell’arco di nemmeno trent’anni e ciò che sembrava immutabile come la contrapposizione fra sovietici ed americani è svanita in un batter d’occhio nelle apparenze mentre tutto va, purtroppo, a somigliarsi, a omologarsi sempre più nelle ineguaglianze.
Le arti come la cultura tutta e in primis la “politica” dovrebbero prospettare, proporre, indicare vie, ma …
L’arte così può diventare rifugio, gesto d’amore, riflessione interiore. Il Dittico Pistoia è un po’ tutto questo. È memoria di una città e di un territorio che mi hanno “contenuto” per lunghi anni e tuttora lo fanno ed è luminosità, orizzonte possibile, ricerca, natura, sedimenti che riaffiorano combinandosi nel tentativo di liberarsi e comunicare.

Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Domenica 25 novembre 2012 - © Quarrata/news 2012]

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