Stamattina l’incontro del Vescovo
con i
giornalisti
Eccellenza,
non scriverò – come lei forse si
aspetta – un resoconto di ciò che ci siamo detti stamattina, alla Casa dell’anziano,
nel consueto appuntamento in nome del patrono dei giornalisti, san Francesco di
Sales.
Le scriverò, invece, una lettera,
magari per ribadire quanta importanza abbia la dimensione etica – come lei ha
sottolineato – nel nostro difficile mestiere; magari anche per ricordare che
lei si è impegnato per la Breda, e per la soluzione di quel problema, dando
anche la sua personale disponibilità e della Chiesa pistoiese stessa, alla
creazione di un tavolo – come lei ha ribadito – al di fuori degli schemi
istituzionali, un tavolo destinato a far parlare più liberamente la gente e a
favorirne l’acquisizione di una coscienza sociale e collettiva rifondante di un
rapporto umano di comunità.
Le scriverò una lettera, magari, anche
per confermare che il suo invito, che segue quello del Papa, di trovare in noi
un momento di silenzio, un’oasi per imparare a capire meglio ciò che ci accade
intorno, in modo tale da saperne riferire agli altri, è, senza dubbio, un mezzo
necessario per permetterci di essere, in perfetta lealtà e buonafede,
comunicatori della verità.
Ma le scriverò, soprattutto, per
ricordarle la mia domanda; quella che le ho rivolto e che – mi dica di no, se
sto sbagliando – mi è parso che la abbia messa un po’ in imbarazzo: se e come
la Chiesa intende rapportarsi alla verità da dire e da comunicare, stante la
figura e la persona di Cristo che si definiva, appunto, anch’egli
imbarazzantemente, Verità, con la V maiuscola, ma sempre della stessa natura e
categoria a cui appartengono anche le povere cronache umane di cui noi
giornalisti siamo testimoni.
Mi creda, Eccellenza: ho apprezzato il
suo riconoscere, in parte, che, forse, anche la Chiesa non fa, sempre e in
tutto, quello che dovrebbe fare, accettando anche le conseguenze che – come
lei ha ben sottolineato – devono accettare coloro che, in perfetta libertà e
totale onestà intellettuale, in nome della libertà, ogni mattina arricchiscono
il racconto della vita quotidiana con le notizie e i commenti che vengono giù
dalle loro mani, pestati sulle tastiere dei loro computers.
Molti laici – e io da laico a lei mi
sono stamattina rivolto – accettano, senza riserve, tutte le difficoltà che sanno
che saranno loro create quando scrivono la ‘loro verità’ fatta di lealtà e di
buona fede: e lo fanno con lo spirito dell’accettazione della vita e della
necessità filosofica che ad essa si connette.
Ma tanto più, Eccellenza, i laici si
aspetterebbero che la Chiesa, che della Verità si è fatta portavoce e che dalla
Verità discende, desse, in prima persona, senza mai demordere, senza mai cedere,
un esempio che fosse al tempo stesso testimonianza di fede e testimonianza per
la fede, in nome dell’Umo-Dio che, per la Verità, ebbe – come le ho ricordato
stamattina – il coraggio necessario (filosoficamente) di farsi inchiodare sulla
croce, pur se, molto umanamente e comprensibilmente, in un momento di debolezza
ebbe a dire ‘Dio mio, perché mi hai abbandonato?’.
Quest’anno, per la prima volta, ho
partecipato all’incontro fra lei e la stampa, perché con grande correttezza –
una correttezza che ho davvero apprezzato – l’amico-collega Mauro Banchini mi
ha invitato e mi ha pregato, in sincerità, di intervenire.
L’ho fatto volentieri e forse lei,
Eccellenza, è rimasto un po’ stupito per questa comparsa inattesa o quantomeno non
calcolata.
Ebbene, oltre a quello che le ho detto,
Eccellenza, ancora un’ultima considerazione.
Quando sono passato da lei e le ho
stretto la mano per salutarla, lei ha pronunciato per me le più belle parole di
elogio che io potessi aspettarmi come giornalista.
Forse lo ha fatto con una non totale
consapevolezza, ma spesso – e lei me lo insegna – il profeta parla senza sapere
come e perché.
Mi ha detto, Eccellenza, mentre ricambiava
la mia stretta di mano, che io ero «quello che
tira delle sciabolate»: forse intendendo, prima di tutto, significare che il mio
raccontare la mia verità della vita è estremamente doloroso.
Le sue sono state, però, parole per me
più dolci di qualsiasi altro elogio e non perché io sia sadico, ma solo perché,
in quel momento, mi sono tornate in mente le parole che un santo vecchio disse altrove:
«Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: “Egli è qui
per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché
siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima”».
(Luca, 2, 34-sgg).
Non è, la mia, una bestemmia di
superbia. Ma come vede, Eccellenza, anche lì c’era una spada: metafora e
simbolo stesso di chi si sarebbe poi presentato come Verità; perché la verità
non è conforto, ma accettazione stessa del male di vivere e profondo dolore.
Contro cui tutti – i laici, ma ancor più i credenti – devono ogni giorno combattere, accettando di ricevere la propria
dose di sciabolate con la perfetta letizia da frate Leone di San
Francesco: in nome dell’uomo, da una parte, e in nome di Dio, dall’altra.
Edoardo Bianchini
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[Giovedì 2 febbraio 2012 – ©
Quarrata/news 2011]
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