di Lorenzo Cristofani
PISTOIA. C’è un’immagine di Pistoia che mi è particolarmente cara. È
il dipinto di Ireneo Biagini, qui a fianco. Raffigura Via del Bottaccio, quella
curiosa e scoscesa stradina che da piazza San Bartolomeo porta, dopo una virata
a novanta gradi, in Via Dei Baroni.
In primo piano, con la bicicletta, è
rappresentato Silvio Innocenti, l’ortolano di San Bartolomeo, una figura
certamente ancora vivissima nel ricordo di tanti pistoiesi di una certa età. Un
ricordo che le 74 immagini della rassegna figurativa Pistoia com’era, del
maestro Biagini, cercano di trasmettere a chi, per motivi anagrafici, ha
mancato di conoscere la città del primo Novecento.
Tutto sommato l’orto di San Bartolomeo,
delimitato appunto su un lato da Via del Bottaccio, quel glorioso e verde – ma
di un verde inusitato nella tonalità cromatica – orto che dal tempo dei
Longobardi è rimasto un invariante storico e urbanistico, costituisce uno degli
elementi paesaggistici più suggestivi e autenticamente rappresentativi di quel
periodo.
I vari ordini monastici lo hanno
coltivato a frutteto, a frumento e usato come pascolo per gli animali; con le
prime attività manifatturiere dei Lorena sono arrivati i gelseti per la
bachicoltura del baco da seta e infine si approda al dilemma contemporaneo:
devastazione/sventramento per il parcheggio interrato o un garden new deal?
Sfogliando il catalogo pittorico appena
menzionato, ricco di rievocazioni di aspetti intimi della quotidianità della
città degli orti, fermata sulla tela da Ireneo Biagini, pare normale svolgere
alcune riflessioni.
San Bartolomeo |
Certo è che allora la città aveva un
aspetto decisamente rurale; le persone si fermavano sistematicamente alle
edicole devozionali e ai tabernacoli per recitare, in raccoglimento, la rapida
giaculatoria e ripartire, di passo svelto ma senza fretta: «Lodato sempre sia il santissimo nome di Gesù, di Giuseppe e
di Maria», «Passando per questa strada, ti saluto o Madre Beata.
Passando per questa via, Ti saluto o Madre mia».
Oggi la toccante narrazione visiva del
professor Biagini, donata al Comune di Pistoia dai suoi eredi nel rispetto
testamentario, giace purtroppo prigioniera e nell’oblio dell’Ufficio Tecnico,
agli ex macelli.
Vorrei proporre a Claudio Rosati, che
ha avuto l’incarico – chi meglio di lui? – a titolo gratuito, di riorganizzare
la macchina museale e i servizi culturali del Comune di Pistoia, di restituire
uno spazio espositivo, degno e fruibile, per questa collezione e di organizzare
percorsi didattici per i giovani. Percorsi didattici inerenti alle tavole e
diretti alla riscoperta dei luoghi da esse ritratti, che sono i luoghi delle
nostre radici, in cui sono nati e vissuti i nostri parenti, il cui ricordo
rimane indissolubilmente legato alla memoria dei luoghi stessi.
Il libro |
I grossi cocomeri raccolti da Silvio
l’ortolano ne rappresentano un semplice esempio e rimando. Una testimonianza
ulteriore di quella galassia di varia umanità la consegna anche il libro di
Gaetano Severini e Marco Paolini, Il Quartiere di Porta San Marco, una città –
è stato definito – nella città.
Il quartiere aveva, tra le varie
peculiarità, un’altissima densità di vivai e addirittura recava i cartelli
stradali con le indicazioni chilometriche che lo separavano – sì, proprio San
Marco! – dalle altre città italiane.
Il volume, che prossimamente uscirà
nella seconda edizione, esala quasi l’odore del ventre di Pistoia: il brulichio
e il fervore di quel tessuto urbano e di relazioni, con la festa del gallo, il
magazzino della Gennì e l’orticoltore Nerozzi, scopritore del monastero di San
Michele in Forcole. Tutti elementi che, chiudendo gli occhi per un istante,
sembra di ritrovare, simboleggiati, nell’ orto di San Bartolomeo.
Ed eccoci, in conclusione, con una
riflessione aperta, al dilemma iniziale sull’orto monastico.
Nell’Ottocento giardini e parchi
pubblici, intesi come servizio per la collettività, diventano un elemento
caratterizzante dello sviluppo urbanistico delle metropoli europee, in
conseguenza del fenomeno di inurbamento, che rende il verde elemento raro e
prezioso.
Nel Sud Italia si affermano, ex novo,
le cosiddette ville comunali, altrove vengono trasformati ad uso pubblico
giardini di pertinenza di palazzi reali o nobiliari.
Bene, è lecito chiedere ai cittadini
tutti, alle istituzioni e agli amministratori pistoiesi, se nella capitale del
florovivaismo e del verde per estensione, è possibile destinare l’orto
monastico di San Bartolomeo, con la preliminare e ragionevole intesa con la
proprietà – la parrocchia – ad un uso rispettoso della sua vocazione
millenaria?
In altre parole si vuole chiedere se è
sensato ritenere che la terra vergine più estesa e significativa del centro
diventi il valore aggiunto di Pistoia social business city e dei suoi abitanti,
anche strumento di eventuale promozione turistica e commerciale – prima di
esportare il verde si deve essere in grado di viverlo in patria! – ovviamente
in sinergia e con la condivisione dei proprietari dell’area, che so essere
sensibili e disponibili.
Si può in definitiva avviare un
confronto approfondito e sincero sulle possibilità di gestione polifunzionale
di quest’orto, così imbevuto di cultura e specchio di un modo di vita che è
stata vissuta per secoli?
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Domenica 2 dicembre 2012 - ©
Quarrata/news 2012]
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