di
LUIGI SCARDIGLI
Erri De Luca, il coraggio degli uomini
che sanno amare le donne e una lezione sul significato di alcune parole e sulla
demagogia di certa religiosità
QUARRATA. Per difendere, con un briciolo di orgoglio, dignità e
perché no, con un minimo di cognizione di causa, se non il nostro ateismo,
almeno la nostra laicità, non ci si può certo limitare e difendere dietro un
filo d’erba sul quale è scritto che un dio – dategli
il nome che volete, tanto son tutti uguali – non
esiste.
Erri De Luca, ad esempio – noto intellettuale autodidatta, pregiato scrittore, firma
autorevole di Repubblica, Corriere della Sera, Manifesto, Gli
Altri (le ultime due testate speriamo che l’abbiano pagato), ha intrapreso,
a tal proposito, una delle strade più serie, autorevoli e difficilmente
sindacabili e ieri sera, al Nazionale a Quarrata, ne ha data un’altra
ferrea, forbita e delicatissima testimonianza, portando in scena Provando in nome della madre, una lettura
musicale apocrifa, corretta e
storica, dell’amore tra Giuseppe e Maria e la nascita di Gesù. Lo ha fatto
ponendosi autorevolmente sulla cattedra, ma lasciando il campo e la scena a due
tra i suoi migliori allievi, Simone Gandolfo e Sara Cianfriglia, mestieranti di
palcoscenico di professione.
Dopo lo spettacolo, una bella lettera
d’amore per tutte le donne, una medaglia da podio per il coraggio degli uomini
che sanno amare le donne e una forbita lezione sul significato di alcune parole
e sulla demagogia che su queste imperfette traduzioni la religione ha poi
costruito e indistruttibilmente fortificato la propria indegna supremazia – una docenza teatrale, quella di De Luca, condita
dall’energia di Simone Gandolfo, dalla tenerezza di Sara Cianfriglia e dalla
colonna sonora di alcune canzoni di Gian Maria Testa e Fabrizio De André –, ho provato a chiedere, all’autore-voce narrante della
rappresentazione se decidere di parlare dell’emisfero femminile prendendo in
prestito una delle maternità più contestate e incredibili non sia, comunque, un gesto almeno scaramantico per
provare ad avvicinarsi all’ignoto fino ad oggi tenuto a debita distanza.
«Sono immerso nello studio di questi fenomeni storici,
dialettici, morali e linguistici da parecchi anni – mi ha detto Erri De Luca,
senza guardarmi mai negli occhi (strano!) e dopo aver firmato svariati
autografi e stretto le mani a parecchi ammiratori entusiasti – e la scelta di
questa rappresentazione non vuol dire assolutamente nulla di più, né di meno,
di quello che si è capito. Il percorso personale di ogni singolo individuo è un
tragitto intimistico, che non baratterei, se ne dovessi restare impigliato, con
uno spettacolo, lasciando dare le risposte, che dovrei darmi, al pubblico».
Un napoletano, Erri De Luca, decisamente
anomalo, che senza perdere quell’inconfondibile slang che lo apparenta tanto a
Eduardo De Filippo quanto a Beppe Lanzetta, ha, nel tempo, coltivato, ad
esempio, una passione che a Mergellina e dintorni è letteralmente ignorata: la
montagna. Un amore particolare, un amore che nasce in luoghi impervi ma che si
celebra con maggior nitore, con un’estensione sentimentale più profonda che
riesce ad avvertire con minor ingombro le faccende e lo smog della piana, per
godere la libertà, rarefatta, dell’alta quota.
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Foto di Luigi Scardigli.
[Domenica 16 dicembre 2012 - ©
Quarrata/news 2012]
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