di Paolo Caselli [*]
«Il buon Bersani non riuscirà mai a estirpare la tenace
persistenza dei soliti zombi, perché da questi supportato nella sua ascesa
politica fino alle ultime primarie»
PISTOIA. Caro Bianchini, Spes contra spem.
Ormai da tempo immemore assistiamo al
continuo declino della classe politica italiana, fino alle indefinibili
conseguenze degli ultimi giorni.
Mala tempora currunt, ma non come un “fulmine a ciel Sereno”. Il “ciel sereno” è
sparito da tempo, fin da quando negli anni sessanta del secolo scorso si attuò
una vera e propria epurazione politica della classe dirigente democristiana al
seguito di Alcide De Gasperi (che morì, pare, di crepacuore).
Emerse una generazione politica di
pigmei, il cui più degno rappresentante, il celebre nefasto aretino, aveva
avuto, fra gli altri indubitabili meriti, quello di una forte adesione al
fascismo, a tal punto da risultare uno dei primi firmatari del “manifesto della
razza” e valentissimo redattore della rivista “La difesa della razza”.
Da qui in poi, decadenza progressiva
del sistema politico, salvo eccezioni, e sempre più attenzione, non tanto al
bene comune, ma agli interessi personali e clientelari: e questo purtroppo, a
tutti i livelli, indipendentemente dall’orientamento politico.
Ma il discorso sarebbe troppo lungo e
impegnativo, per cui arriviamo direttamente alla “punta dell’iceberg” del
momento attuale.
Di fronte al riemergere dai bassifondi
di un uomo chiuso nella propria egocentrica autoaffermazione, incapace di
alcuna autocritica, totalmente refrattario al dialogo (ma può essere
parzialmente giustificato dalla pochezza di coloro che lo attorniano e non
hanno il minimo coraggio di dissentire) troviamo la tenace persistenza dei
soliti zombi che il buon Bersani non riuscirà mai ad estirpare, perché da
questi supportato nella sua ascesa politica fino alle ultime primarie.
A questo punto credo che occorra, per
risolvere la crisi profonda che viviamo, recuperare forti ideali e motivazioni
interiori, prima di affrontare con equilibrio e giustizia i gravi problemi che
angustiano la nostra società. È veramente un momento epocale, soprattutto per
chi si definisce Cristiano e, non essendo certo io un analista politico acuto e
capace di proporre valide soluzioni, mi affido alle parole di un grande Spirito
de ’900, sconosciuto ai più, Don Ernesto Buonaiuti, il quale,
all’inizio del secolo scorso, questo scriveva in relazione al nascente
movimento democratico-cristiano, guidato da Don Romolo Murri: “Non avevo
tardato di partecipare alle polemiche che in quel momento ardevano vivaci in
Italia sul movimento democratico cristiano, creato e guidato da don Romolo Murri.
Fin da allora io mi dovevo trovare all’opposizione”; “Il Cristianesimo non può
offrire un connotato specifico e inconfondibile ad una qualsiasi organizzazione
politica. Il Cristianesimo è Spirito e Vita: non è un formulario economico, non
è un codice, non è un’etichetta che possa offrirsi alle piccole invidie e alle
banali competizioni degli uomini pubblici”; “Il Cristiano non si diversifica
dai suoi concittadini nel nome di una partecipazione qualsiasi a determinate
posizioni politiche o a frammentarie organizzazioni economico-sociali. Il
cristiano è l’uomo che al di sopra e al di là di tutte le specificazioni
politiche correnti si sente cittadino di una città superiore e questa sua
anagrafica iscrizione in una città superiore traduce in forme di bontà, di
temperanza, di mitezza, di condiscendenza, di perdono, da esercitarsi indistintamente
a favore di tutti i fratelli che sono suoi compagni di pellegrinaggio e di
pena”; “Il Cristianesimo, come federazione di anime in una consapevolezza e in
una partecipazione di carismi che annullano ogni differenza sociale ed ogni
disuguaglianza economica, è l’unica democrazia possibile, perché in nessuna
altra forma di vita religiosa, come in nessuna altra visione filosofica della
vita, l’aggregato umano, il senso della solidarietà universale, la coscienza
dell’unica famiglia umana nel mondo, hanno, come nel cristianesimo, altrettanto
rilievo e altrettanto inconsumabile peso”; “A Murri dicevo che il compito dei
cristiani, in quell’albeggiare incerto e ambiguo del secolo ventesimo, non era
e non poteva essere che uno solo: quello di tendere l’arco di tutte le proprie
energie spirituali verso una riconquista laboriosa e insieme letificante dei
veri valori dello Spirito e del Vangelo, per poter fare, di questi Valori, non
una insegna di partito in lotta con gli altri, ma l’anima di tutte le
rivendicazioni sociali, tendenti ad un livellamento delle classi e ad un
affratellamento degli spiriti. Murri commentò molto benignamente la lettera
dell’anonimo ventenne”.
Non credo ci sia bisogno di aggiungere
altro di fronte alla incontrovertibile profezia di questo grande maestro del ’900 , che illumina la nostra strada, nella certezza di poter
realizzare la “Spes contra spem”.
Un caro saluto da un vecchio
Forteguerriano,
Paolo Caselli
[*] – Paolo Caselli, medico, si
definisce semplicemente un ‘Cristiano’.
Caro Paolo,
è passato qualche anno da quando ci
incontravamo per i corridoi del Forteguerri: e moltissima acqua marcia sotto i
ponti.
Niente di più vero di quello che dici a
proposito di una generazione politica di pigmei: ma se loro di un tempo furono
pigmei, cosa mai saranno gli uomini di oggi? Delle formiche no, perché l’immagine
è senz’altro troppo positiva. Degli scarafoni, meglio: insettacci negativi e
puzzolenti, opportunisti e sempre pronti a insinuarsi nelle dispense per
pappare e ingrassare a dismisura.
La crisi è dappertutto: nei preti
rossi che sbagliano il Vangelo per il babbo del marxismo e per un nonno che
torna a coonestare tale fallita esperienza; e negli ex-democristiani che oggi
si sono fatti più rossi dei rossi, ma che – alla fine – pensano solo a una
cosa: il Dio quattrino, a cui sembra rifarsi anche la Santa Chiesa Cattolica
Apostolica Romana che confonde Cristo con twitter, e che finge di parlare con
tutti, ma che in realtà non solo non dialoga con nessuno, ma non risponde mai neppure
alle domande che le vengono rivolte – nonostante il Concilio Ecumenico Vaticano
II.
Chissà quanti nemici mi sarò fatto, a
Pistoia, a forza di dire le cose come le penso e come sono… Ma, tutto sommato,
Paolo, che me ne importa? Per il fatto che si vive una e una volta soltanto,
merita, alla fine, passare un’intera vita a testa china dinanzi a chi –
politici, magistrati o ricconi –, pur avendo un sacco
di potere e di quattrini e facendone a palate in tutti i modi, leciti e
illeciti, è splendidamente destinato a morire come noi, pur se crede di essere
eterno…?
Un caro saluto a te, ben ritrovato dopo
tanti anni,
Edoardo
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Lunedì 10 dicembre 2012 - ©
Quarrata/news 2012]
Ma che molesto scampanìo con tutti questi “Don”!
RispondiEliminaSecondo la mia opinione, la lettera di Don Bonaiuti a Don Murri, è e rimane esclusivamente una lettera tra “DON”, ossia un documento assolutamente inidoneo a fornire alla politica del nostro stato un apporto concreto autenticamente rilevante, perché il nostro stato non si è costituito - al contrario dello Stato del Vaticano - al fine di perseguire come traguardo prevalente il bene dell’anima di ogni singolo individuo anche non credente, ma semmai anche al fine fondamentale di non imporre una generale esigibilità, sul piano giuridico, di un obbligo morale alla santità (in questo senso dovrebbe collocarsi proprio l’abolizione della religione di stato).
Avanti, chi vorrebbe vedersi comminare da un parlamento religiosamente orientato sanzioni pecuniarie o privazioni della libertà personale solamente perché ha “peccato in pensieri”?
Io no.
A chi desidererebbe masochisticamente un parlamento così toglierei, per suo personale … godimento (nella sofferenza), la coppetta di macedonia a fine pasto: come una vera Signorina Diesel. AME.
Paolo Caselli mi prega di pubblicare questa sua risposta:
RispondiEliminaCara Pepponi,
Non penso proprio che don Romolo Murri e tantomeno don Ernesto Buonaiuti intendessero perseguire un Parlamento religiosamente orientato. Mi pare che, nella lettera inviata a don Murri, il Buonaiuti faccia sostanzialmente riferimento a valori universali che ogni uomo, indipendentemente dal proprio credo, dovrebbe considerare nel personale impegno sociale o politico.
La ringrazio per le sue precisazioni.
Paolo Caselli
Gentile dott. Caselli,
RispondiEliminaanzitutto la ringrazio di aver risposto.
Non è mia intenzione fare polemica (anzi, mi scuso se talora utilizzo toni volutamente esagerati al fine di rendere più” leggere” tematiche abbastanza impegnative), ma invitare uomini politici ed elettorato attivo, in quanto cristiani (e solo a questi ultimi si rivolge Don Bonaiuti) a fondare tutte le rivendicazioni sociali sul Vangelo (testo che si pone antropologicamente a fondamento della sola religione cristiana), significa voler rendere la politica tendenzialmente “ancilla” della teologia cristiana:
“A Murri dicevo che il compito dei CRISTIANI, in quell’albeggiare incerto e ambiguo del secolo ventesimo, non era e non poteva essere che uno solo: quello di tendere l’arco di tutte le proprie energie spirituali verso una riconquista laboriosa e insieme letificante dei VERI VALORI DELLO SPIRITO E DEL VANGELO, PER POTER FARE, DI QUESTI Valori, non una insegna di partito in lotta con gli altri, ma L’ANIMA DI TUTTE LE RIVENDICAZIONI SOCIALI, TENDENTI ad un livellamento delle classi e AD UN AFFRATELLAMENTO DEGLI SPIRITI”.
Ora, la politica ben potrà essere “ancilla Theologiae” solo in una determinata prospettiva religiosa (prospettiva in cui senz’altro non può non calarsi un sacerdote), ma in un contesto di pluralismo qual è quello garantito dalla nostra Costituzione (testo nel quale confluiscono anche influenze illuministiche) della quale sempre auspico personalmente una lettura in senso aperto ed evolutivo, il bene primario da conseguire nell’elettorato attivo e nella classe politica dovrebbe essere non quello della salvezza di un’anima vera solo per chi la crede tale, ma la consapevolezza che determinate condotte pongono di fatto a repentaglio i presupposti sui quali si fonda la civile convivenza.
In quest’ultima prospettiva, ad esempio, il furto deve essere punito non perché “rubare è peccato”, ma perché rubare presuppone in chi ruba un disconoscimento dei limiti posti al proprio diritto di proprietà, disconoscimento che materialmente non consente la sussistenza, in capo ad altri soggetti esistenti nel “qui e ora”, di analogo diritto.
Niente di più semplice, senza tirare in mezzo religioni di sorta o beni vaghi, indeterminati (quali quello della salvezza dell’anima), della cui esistenza deve essere lecito, in un ordinamento degno di definirsi tale, non soltanto credere, ma anche dubitare.