domenica 15 gennaio 2012

QUARRATA HA RICORDATO LUCIANO MICHELOZZI



QUARRATA. Sabato pomeriggio, come ha scritto Giancarlo Zampini su La Nazione, la città ha dedicato un po’ del suo tempo alla figura di un uomo di cui non darò altra definizione rispetto a quelle – tutte troppo parziali – che sono state proposte durante la manifestazione pubblica al Polo Tecnologico, dove peraltro si moriva di freddo grazie all’imprevidenza di un’amministrazione comunale tristemente nota per la sua estemporaneità: trasferire quella manifestazione altrove, in una sala riscaldata, magari al Nazionale o all’auditorium della Bcc di Vignole, questo, era troppo difficile da pensare, per gli amministratori pubblici e no.

Ci sono andato apposta, alla manifestazione, per rendermi conto di persona del livello che ne sarebbe scaturito. E non mi sono sbagliato. «Provare per credere», si diceva di Aiazzone un tempo, prima che fallisse e sparisse.
La provincia è sempre provincia e non cambia mai. Ma per quanto umile possa essere la figura di un provinciale da ricordare (beninteso: provinciali lo siamo tutti, compreso chi scrive, pur se cerca di dimenticarsene impegnandosi il più possibile), una più accorta attenzione alle forme e ai contenuti non sarebbe stata affatto una bestemmia.
E invece nemmeno una nota filologica – neppure una –, da cui poter capire cosa in concreto è accaduto e accadrà della massa del materiale che Luciano ha lasciato. Non una impegnativa di metodo per il futuro.
Vive le parti del ricordo dell’uomo, rilasciate da Carlo Rossetti e dal dottor Luigi Vangucci: per il resto, permettétemelo, il deserto.
Perfettamente inutile, quanto approssimato, che si venga a Quarrata a parlare, dianzi ai filmati delle processioni di Gesù Morto, del genius loci o di mille altre ‘tematiche rinascimentali’ da città ideale, che niente hanno a che vedere con l’umile forza del lavoro che era genialmente estemporaneo, ma pur sempre estemporaneo in quanto a-metodico: importante quanto volete, ma pur sempre ‘troppo creativo’. Perfettamente inutile che Maurizio Tuci riattaccasse il suo solito discorso, che ormai porta avanti dal 1965, partendo, per commentare i documentari muti di Luciano, dall’invenzione del cinematografo dei Fratelli Lumière: perché non ripartire, allora, dal ‘brodo originario’ delle Cosmicomiche di Calvino?
Da questo si capisce bene solo una cosa, che si viene a Quarrata – o in qualunque altra parte del mondo – senza aver preparato un bel niente, senza nient’altro aver fatto che scrivere, o scarabocchiare di corsa, qualche appunto còlto in aria tra un caffè, una sigaretta e una fugace comparsa in via Monteleonese.
Anche questa è provincia e, a mio parere, della peggiore: di quella che a Pistoia s’è espansa e conservata, con somma persistenza, fino ad oggi.
Di Luciano, di quello vero e vivo, non ne ho sentito fare parola. E addirittura, se non ci fosse stato il figlio Marino a dire qualcosa in più, a rammentare chi, con Luciano, ha condiviso davvero la vita, e non le gesta televisive epicizzate dal dopo, come sono state rappresentate nella ‘fortezza della solitudine’ di Superman (lo dico per il freddo glaciale che c’era, i cui morsi non sono sfuggiti neppure a Claudio Rosati), nessuno avrebbe saputo niente di più del nulla ufficialmente rappresentato, e tutti se ne sarebbero andati via senza altre scoperte né ulteriori curiosità da soddisfare.
Mi spiace per Franco Benesperi, per la Fondazione, per i quarratini presenti, per la stessa famiglia di Luciano, per i relatori, per i donatori (Foto Video Project) e per i donati (i cittadini di Quarrata).
Mi spiace. Ma quando si fa qualcosa, non si fa così, come dice Sofia Loren in una scena altamente drammatica dei Girasoli di De Sica. Non si fa così, no.
Quando si presenta un personaggio, fosse pure il più modesto del mondo, è d’obbligo scegliere la strada di una filologia che impone a tutti, senza distinzione – e vorrei chiederne conferma al Prof. Giorgio Petracchi, storico cattedratico, che, se non sbaglio, mi è parso di intravedere in sala –, di fare preventivamente almeno qualche indagine e qualche minima ricerca per onorare, adeguatamente, l’uomo di cui si parla.
Qualche volta, se ne avrò voglia e tempo – e non lo considererò un lavoro buttato via –, vorrò provare io a raccontarvi l’incredibile e triste storia di Luciano Michelozzi e della sua televisione snaturata, tanto per abusare di un titolo márqueziano.
Ma cercherò di farlo filologicamente e con i documenti alla mano.
E qualcuno dovrà restare male.
Edoardo Bianchini
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[Domenica 15 gennaio 2012 – © Quarrata/news 2011]

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