di Luigi
Scardigli
È sincero, Dario Vergassola, soprattutto quando riconosce la
propria patologia di essere inguaribilmente affetto da sindromi ansiogene e
quando sostiene di non aver maestri, se non il bar, dove è cresciuto, seppur
con parsimonia.
Sparla
con me, del resto, lo spettacolo che lo ha
visto ieri sera mangiarsi famelicamente per circa un’ora e mezzo parole e sillabe
in abbondanza al teatro di Casalguidi – che con
lo show del comico spezzino ha aperto sipario e stagione –, altro non è che una confessione psicanalitica traslata su
un palcoscenico dove il paziente, invece che pagare per essere ascoltato e
aiutato, viene pagato per non essere preso affatto in alcuna debita considerazione.
Fa ridere, Dario Vergassola, perché ha la faccia di un
acrimonioso professore di matematica di provincia, con la voce in falsetto che
ricorda e scimmiotta quella del grande Fabio Concato, su una struttura che ha
tutta l’aria di voler sembrare una maschera, non necessariamente carnevalesca.
Ed è su questa triplice naturalissima finzione poliedrica –
aiutata da uno slang, quello ligure, paragonabile, per forza comunicativa, solo
al romano, al napoletano e al veneto – che l’apostrofo spezzino gioca tutte le
sue carte, senza barare, però. Anzi, marchettando spudoratamente e premendo,
con forza e alcune volte con esagerazione, l’acceleratore sui luoghi comuni
che, in avanspettacolo, sono le donne vistose e sciocche e i politici
immarcescibili. Individua le sue prede e le macella pubblicamente, anche in
diretta, se il fato gliene offre l’opportunità, riconsegnandole malconce e lacere,
sì, ma rinvigorite, al tubo catodico, che si nutre di decomposizioni e macerie.
«Sì, la televisione è ormai un mezzo potente, troppo potente,
forse invasivo – ha detto Dario Vergassola prima di andare in scena –; un elastico straordinario che ha la forza di lanciare in
orbita chiunque riesca ad essere inquadrato per almeno cinque minuti
consecutivi».
Le telecamere, su di lui, in tutti questi anni durante i
quali è stato invitato per fare da provocatore inaddomesticabile, ci si sono
soffermate per molto più tempo dello stretto necessario per la notorietà,
zoomate che l’ultra cinquantenne di La Spezia ha sfruttato abilmente e che riescono
a tenerlo in precario, ma comunque duraturo equilibrio, sull’onda del
divertimento, nonostante i suoi show siano un concentrato di cronaca e
giornalismo quotidiani sempre più esposti, magistralmente, ai contrattempi dei
doppi sensi e dell’approssimazione. Così come le sue vittime sacrificali,
illustri nullità che la macchina pubblicitaria porta strategicamente a pubblico
ludibrio, una mortificante berlina che gioca esattamente l’effetto opposto, la
notorietà.
Insomma, parlatene
bene, parlatene male, ma parlatene, ha ancora tutto il suo fascino e la sua
ferrea e lucrosa logica imprenditoriale.
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[Giovedì 26 gennaio 2012 – © Quarrata/news 2011]
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