Un gesto estremo d’amore. Forse l’unico
di tutta una vita dopo quello di averla data a un figlio.
E la madre, una madre, che Márquez
definirebbe desalmada, cioè senz’anima, snaturata – snaturata perché al
figlio non ha mai pensato finora –, decide di farla finita una volta per tutte;
di dare finalmente requie ai tormenti di un figlio che, sempre assecondato,
comunque assecondato,
fino al punto di mandarlo fuori dai binari della
normalità, ha tentato di rapinare una banca e gli è andata male; è agli arresti
domiciliari e ogni giorno il brigadiere della polizia passa a raccoglierne la
firma e lo prende in giro; si è fatto e strafatto e vive nel fondo di un letto:
vivo solo perché dolorante dei suoi mali che non hanno, apparentemente, soluzione.
È la situazione in cui si muove Vedrai,
starai meglio, ora, un atto unico rappresentato all’Arci di Santomato, che
ha visto, come personaggi, lo stesso autore, Luigi Scardigli, e una perfetta
Dora Donarelli nella parte della madre snaturata.
Scena più semplice non si poteva
trovare. Un letto, un trentenne ammalato e malato, ex rapinatore e tossico, e
una madre dalle fin troppo ampie vedute che, in gioventù, per l’ansia di essere
bella, amata, desiderata, voluta, cercata dagli uomini, ha avuto questo figlio
che si lamenta e non la smette mai perché sente male in ogni parte del corpo.
Dolore fisico. Dolore morale. Dolore
spirituale.
Tre dolori che fanno parte della nostra
vita. Sia perché a volte li proviamo direttamente, sia perché, nei fatti atroci
di certa cronaca, li vediamo e li seguiamo nella vicenda umana di altri – e ne
restiamo toccati.
Alla madre che rientra da fuori e dalla
spesa quotidiana, il figlio si rivolge per chiedere, per la millesima volta,
chi sia suo padre: se il poeta o il marinaio o chissà chi altro.
E la madre, per i suoi trascorsi di
ampie vedute, non sa che dire; non sa cosa rispondere.
Risponderà, in fondo, con un dono che
il figlio accoglie come qualcosa di grande: una siringa.
La droga. La voglia di evadere del
figlio che, fino a pochi istanti prima, addolorato e dolorante, ha pianto e
urlato e imprecato perché – come ha detto –, per le ampie vedute della madre,
gli è stata negata una vita normale, con una donna normale e una casa normale e
un figlio normale: 80 metriquadri di appartamento e un mutuo. Una sorta di
paradiso terrestre negato.
L’altro paradiso, quello della siringa,
gli sarà offerto dalla madre che, in un gesto estremo d’amore, forse l’unico
della sua vita, darà finalmente pace alla creatura.
La madre aspetterà il brigadiere e si
consegnerà con una semplice frase, come tutte le frasi di questo mondo, verità
e menzogna al tempo stesso: «Venite… Mio figlio
non è in casa…».
Agghiacciante conclusione con un Luigi
credibile e vero, una Dora perfetta. Non avevano nemmeno provato. Ma hanno
convinto di colpo, come fosse davvero la loro storia.
Al loro fianco dei flashes in
bianconero di grande qualità e suggestione. Straordinari, direi.
Una giovane, bellissima e
irraggiungibile, ha cantato, in sordina, con qualche picco di voce acuto come
una punta di lancia nel cuore: Olivia Rovai (1982), una voce e una sofferenza che
sono un tutt’uno, anche nella sua vita, probabilmente.
Olivia ha eseguito Someone to watch
over me e I loves you porgy di Gershwin; My man di Yvain e Veinte
años di Vera.
Lo ha fatto tra una luce e un buio.
Togliendo il fiato a tutti. Lasciando muti
tutti.
Edoardo Bianchini
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[Sabato 21 gennaio 2012 – ©
Quarrata/news 2011]
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