di Luigi
Scardigli
La disperazione, quella autentica, spaventa vittime e
spettatori. Posso concludere questo alla luce, anzi, al buio del gesto,
estremo, ma fatto con un briciolo di moderazione, dunque paura, di cui si è
reso artefice uno dei 120 minatori che da 4 giorni hanno deciso di protestare
contro la chiusura della Carbosulcis, prevista per il prossimo 31 dicembre.
Di fronte alle telecamere che riprendevano e registravano in
diretta le buone e sconvolgenti ragioni dei protestanti, uno di loro ha
estratto un coltello da una tasca dei pantaloni e si è tagliato, per due volte,
l’avambraccio destro, a debita distanza dalle vene.
Lo pseudo svenimento che ne è seguito, compresi gli attimi
di panico di tutti i presenti che temono soprattutto che a qualcuno il sangue
si surriscaldi eccessivamente, ha prodotto, come dicevo, un duplice effetto: ha
spaventato, con ragionevole considerazione, il protagonista e ha letteralmente
coinvolto le autorità, che improvvisamente si sono fatte carico della questione
iniziando a rassicurare tutti che il prossimo capodanno potrebbe non coincidere
affatto con la chiusura della miniera e che potrebbe invece iniziare quell’opera
di riqualificazione urlata dai lavoratori che darebbe all’azienda e a chi ci
lavora, dignità, speranza e profitti.
I cugini poveri dell’alluminio, intanto, quelli dell’Alcoa,
sono andati a protestare direttamente a Roma, carichi anche e soprattutto del
coraggio sotterraneo offerto loro da quelli della Carbosulcis.
Anche il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si è
ricordato di essere, almeno stato, il Migliore
del Pci, inviando ai minatori sepolti vivi la sua solidarietà e il preciso
impegno di poter dare a loro e alle loro famiglie un futuro.
Nessuna preghiera dal Vaticano, invece, forse perché i
minatori, nel regno dei cieli, ci sono di già.
Per censo!
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Giovedì 30 agosto 2012 - © Quarrata/news 2012]
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