di Luigi
Scardigli
Con la sua Maserati ha sponsorizzato il
marchio dell’ospedale Mayer di Firenze – Sposato con Eliana ha due figli, Simone e Niccolò, di 13 e
10 anni
Sensibilità e solidarietà si possono coniugare sempre e
comunque con qualsiasi gesto, anche con la velocità, estrema.
È per questo che Andrea Dromedari, 47enne pistoiese,
cotitolare, dal 1993, del Bar Crudelia, in via Borgognoni, a Pistoia – ma che appena può vive a trecento all’ora –, ha deciso, alla vigilia dell’ultima gara – ultima in
ordine di tempo: quella che ha poi vinto, nel luglio scorso, sul circuito
francese de Le Castellet –, di far sponsorizzare il suo bolide, una Maserati,
con il marchio dell’ospedale Mayer di Firenze, dove si va veloce, velocissimo, ma
non per tagliare il traguardo prima degli altri, quanto piuttosto per correre
più forte delle malattie. Dopo lo spumante e la coppa ricevuta sul podio
transalpino, Andrea ha esposto sul tetto della propria vettura la gigantografia
di un disegno inviatogli da uno dei bambini ricoverati nell’ospedale
fiorentino.
«Ho fatto un conto approssimativo – mi racconta Dromedari,
dalla sala del locale che gestisce con Marco Bechi, di Pistoia Ovest – di quel
che ho speso, tra benzina, meccanici e gomme, da quando corro: beh, mi è parso
doveroso fare qualcosa per chi, con la velocità, ha un rapporto completamente
diverso, probabilmente più adrenalinico del mio, tra l’altro».
Sì, perché prima di approdare, nel 2006, sulle vetture da
competizione, le ossa e le vittorie, Andrea, se l’è fatte sui Kart, la sua
prima passione, adolescenziale, che non l’ha più abbandonato.
«Ho iniziato a correre da bambino; non mi sono più fermato.
Un giorno lo farò, diamine, ma solo quando sarò convinto di non poter dare e
rendere per quel che credo. Vivo così anche tutto il resto della vita: l’amore,
il rapporto con i figli, quello con il lavoro, che sottintende la gestione del
personale, i contatti con i clienti. Ho sempre provato a spostare, oltre a
quello che lo sguardo mi consente, la linea dell’orizzonte: fino a quando potrò
coltivare questa illusione, chiederò a me stesso, alla mia vita e a quella
delle persone con le quali divido e condivido le aspirazioni, di fare
altrettanto».
Sposato con Eliana da quasi vent’anni, Andrea, da questa
unione, ha avuto in dono Simone e Niccolò, 13 e 10 anni, due marmocchi che al
momento non sembrano essere lontanamente attratti dalla gestione del Bar, ma
nemmeno dalla velocità.
«Sono due bravi ragazzi: uno sembra essere proiettato nella
vita dell’informatica; pare voglia fare l’ingegnere, staremo a vedere. L’altro
ha una confidenza con le manualità incredibile e da parecchio tempo sostiene di
voler, da grande, fare il cuoco: pareva un innocentissimo sogno come milioni di
altrettanti bambini, ma più passa il tempo e più sembra crederci».
Alle corse, né moglie né figli vanno a mai a vederlo.
«Credo che abbiano paura, che preferiscano non esserci. Io,
da quando ho lasciato i kart, non ho venduto nemmeno una chiave inglese: tutto
il necessario per correre lo custodisco, gelosamente, in un garage: aspetto che
uno dei due, o entrambi, meglio ancora, esprimano il desiderio di provare; basta
girare la chiave e accendere».
Quando paragono il suo desiderio di correre ad una forma di stupefacente,
Andrea non si nasconde e rincara la dose.
«Sì, la velocità è una droga vera e propria, lo ammetto. Non
ricordo chi, nel mondo delle corse, sosteneva che la sua morte fosse quel
periodo di tempo sotteso tra la fine di una gara e l’inizio della successiva.
La mia dipendenza non è così marcata,
ma credetemi: correre è veramente un’emozione incredibile, difficilissima da
quantificare, spiegare, rendere concreta».
Alla soglia dei 50 anni, anche per Andrea, abile pilota
automobilistico, che convinse tutti, nel 2002, soprattutto a Maranello, il team
della Ferrari Challenge, alla luce della conquista del campionato nazionale
kart, il momento di dover lasciare il volante è destinato ad avvicinarsi,
inesorabilmente.
Quello della solidarietà, invece, non tramonterà: perché
arriverà il giorno di dover smettere di correre, non quello di combattere.
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La foto di Dromedari è di Luigi Scardigli.
[Sabato 18 agosto 2012 - © Quarrata/news 2012]
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