di Luigi
Scardigli
Occorre vederlo tre volte di seguito, Nick Becattini, in
concerto; l’ho capito l’altra sera, a Pontedera, quando con la sua band – Vince Vallicelli alla batteria, Pippo Guarnera all’organo
Hammond e Leo Price al basso e con una cantante, Ty Leblanc, da paura – ha
dato vita ad una delle tante tappe estive che lo stanno portando a spasso in
questo progetto Leblanc.
Sì, tre volte, perché la prima è chimicamente riservata all’incantevole
fascino esercitato dall’uso che il chitarrista pistoiese fa della mano
sinistra, quella che viaggia sui capotasti a velocità e delicatezza spaziali,
cercando e trovando la profondità del suono, la sua originalità, la maestosa
pulizia; dita sottili, elastiche, che si alternano su e giù tra il mi e il mi cantino con una sequenza di geometrica precisione, accompagnando
l’epilogo, introducendo l’esordio. È strano pensare come da quella mano,
esattamente l’opposto di slowhand,
con tutto il sacro rispetto per il buon vecchio Clapton, che potrebbe
appartenere ad un illustre amanuense, si scateni, invece, e puntualmente, l’inferno,
dalle cui spire di fiamme e fumo è difficile salvarsi.
Nella seconda occasione, invece – stasera, a Santomato, ad
esempio, con la stessa band con la quale ieri ha incantato Pontedera con l’unica
eccezione femminile: Donatella Pellegrini al posto di Ty Leblanc – state
attenti alla mano destra, apparentemente meno decisiva della sinistra. Sì
perché Nick Becattini, oltre ad essere uno dei solisti più pregiati del
panorama strumentale italiano, lo è anche, trasudando un’umiltà e uno spirito
di gruppo che forse non gli appartengono, tra i migliori accompagnatori; un
sornione bandleader che fa da materasso, ortopedico, naturalmente, a tutti gli
strumentisti che hanno l’onore di suonare al suo fianco, un sound coinvolgente,
che distribuisce tempi e precedenze, imboccando le sue svisate e gli altrui
assoli, dettando ritmi con la quella naturalezza che ha deciso di perseguitarlo
non ricordo da quando e per qual motivo.
La terza – informatevi dove si esibisca dopo Santomato –
fate mente locale alle informazioni ricevute e raccolte nelle prime due
esibizioni e, dopo esservi rilassati sulla sedia sulla quale gusterete lo show
della chiusura del cerchio, aprite bene gli occhi e controllate la sagoma: con
i capelli un po’ più lunghi sulle spalle e distrattamente legati sulla nuca, il
ricordo vi porterà da Frank Zappa; solo l’aspetto, però. Non esistono molti
punti di contatto tra l’anarchia dell’inimitabile creatore di immagini, più che
di suoni e l’armonia cosmica di Nick: che gode, certo, di quella dose di
estroversione semplicemente indispensabile ad un artista, ma che ha fatto dello
studio e dell’applicazione le sue armi più affilate ed è con quelle che si
presenta sul palco per far male, uccidere e far risorgere, una presenza scenica
oculata, figlia di attenzioni plateali, ma soprattutto di diete e
morigeratezza. Osservate attentamente la sua masticazione: la bocca,
inesorabilmente serrata quando la mano sinistra naviga tra i capotasti meno
sobri, più consoni alle svisate e agli applausi a scena aperta, si schiude
progressivamente quando il suono torna orchestrale e la mano riacquista l’impostazione
naturale.
Spesso, soprattutto in alcuni brani di questo progetto, Leblanc, che ha tutta l’aria di
essere particolarmente lungimirante, la chitarra di Becattini ricorda quella
bluesudamericana di Carlo Santana, quel suono gaio e solare che ha il sapore
della festa, la festa che sta per finire, un suono sottile, ma devastante, che
imbroncia il viso, ma solo fino alla prossima città, ad una città per cantare.
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
Nella foto, di Luigi Scardigli, da sinistra: Pippo Guarnera, Leo Price, Ty Leblanc, Nick Becattini e
Vince Vallicelli.
[Giovedì 2 agosto 2012 - © Quarrata/news 2012]
Proprio vero
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