di LUIGI SCARDIGLI
Intelligente, istrionico, ironico ma
soprattutto professionalmente impeccabile
PISTOIA. È forse uno dei pochi espedienti praticabili, se non l’unico,
quello adottato da Alessandro Gassman avvicinandosi a una montagna troppo alta
da scalare come è William Shakespeare, per renderlo appetibile e, ve lo assicuro,
divertente. Altrimenti, RIII-Riccardo
Terzo, sarebbe potuto troppo facilmente essere una fatale immersione nel
subcosciente, con il risultato, inevitabile, di creare un torpore tale da
sconsigliarne, vivamente, la visione ad un pubblico non matusa.
E invece non ve lo perdete, questo
epilogo stagionale del teatro Manzoni, perché anche al cospetto del Dante inglese, ci si può sbizzarrire con
estrema e costruttiva disinvoltura, violentando
con soave crudeltà il testo originario senza per questo deviarne la
traiettoria, ma facendo percorrere alla trama e allo spettatore un percorso
oggettivamente sconosciuto, più lungo, ma decisamente piacevole.
È così intelligente, istrionico,
ironico ma soprattutto professionalmente impeccabile, Alessandro Gassman – che
torna al Manzoni per la terza volta, dopo averci debuttato trent’anni or sono –
che è riuscito a trasformare un saggio di storia psichiatrica dell’onnipotenza
umana in una favola semiseria, dando alla causticità dell’opera originaria il
sapore del surrealismo tridimensionale cinematografico e televisivo – con tanto
di titoli di coda sullo schermo – e
trasformando il monumentale protagonista in un pacchiano psicotico dei nostri
tempi, feroce e sadico, soprattutto nelle sue pieghe più ironiche, impermeabile
alle regole e alla convivenza, alle donne e al genere umano tutto, ma
irreparabilmente e tragicamente solo, abbandonato, dopo l’ultimo sprezzante
affronto, anche dalla madre, anche dalla sorte.
Di questa rappresentazione, però – che stasera (sempre alle ore 21) conoscerà la replica e
domenica (alle ore 16) la pomeridiana per i vecchi e profondi conoscitori del
teatro –, oltre che rivolgere un applauso equosolidale all’intero cast, occorre
partire da alcuni personaggi che ne hanno decretato, con la letale complicità
del regista ed ideatore scenico, la meravigliosa sortita: Vitaliano Trevisan,
traduttore e adattatore; Marco Schiavoni, videografo; Mariano Tufano,
costumista e le musiche, originali e masterizzate, di Pivio & Aldo De
Scalzi. Senza il loro deviante satirico consiglio, Alessandro Gassman non
avrebbe potuto forse realizzare un’opera di uno spessore così monumentale e
rendere al vate britannico una nuova e suggestiva valenza storica e
didascalica.
Stravolgere Shakespeare fino a questo
punto era davvero opera rischiosa, che correva un’infinità di rischi, a
cominciare da quella, più grande e facilmente incontrabile, della presunzione e
passando attraverso la destrutturazione dell’impianto o la sua trashissazione. Assolutamente no,
invece, perché il gusto onirico del pulp tarantiniano, lo splat cinematografico
anni ’70, la religiosa ridicolizzazione di luoghi isolati, ma
comuni, del teatro e dei suoi vecchi abitanti, sono stati frullati con vorace
parsimonia e rigore sequenziale, con la ciliegina sulla torta del protagonista,
che per l’ennesima volta nella sua vita ha voluto gigioneggiare sul proprio
aspetto, adonico, ora, ma squilibrato per l’intera adolescenza.
Mandare in onda William Shakespeare
affidando la trama e il rigore sintattico ad un eroe diversamente abile,
franksteiniano, circondato da un manipolo di servitori stolti e timorosi, da
donne capaci solo di maledire e da piani sequenza così fuori da ogni logica
narrativa e storica se lo poteva permettere solo e soltanto un genio dell’arte,
che si chiama Gassman; è proprio forse nella magìa di quel cognome che risiede
la naturale immensa creatività di un uomo che solo dopo essere riuscito ad
affrancarsi quasi del tutto da papà Vittorio, ha potuto finalmente nascere come
figlio Alessandro, ma incarnando così tanto la figura paterna fino al punto di
resuscitarla, rimettendola, paradossalmente, un’altra volta in gioco.
Proprio ieri, su questo blog, mi sono
preso la licenza di stilare una classifica delle migliori rappresentazioni
stagionali dei quattro teatri gravitanti nell’area dell’Atp, senza aspettare l’ultima
messinscena del Manzoni.
Ho fatto bene, a non aspettarlo, questo
Alessandro Gassman: troppo, oggettivamente troppo, per competere con gli altri.
Fuori concorso.
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
Foto di Luigi Scardigli.
[Sabato 23 marzo 2013 | 09:11 - © Quarrata/news]
Nessun commento:
Posta un commento
MODERAZIONE DEI COMMENTI
Per evitare l’inserimento di spam e improprie intromissioni, siamo costretti, da oggi 14 febbraio 2013, a introdurre la moderazione dei commenti.
Siamo dispiaciuti per i nostri lettori, ma tutto ciò che scriveranno sarà pubblicato solo dopo una verifica che escluda qualsiasi implicazione di carattere offensivo e penale nei loro interventi.
Grazie.