di Luigi
Scardigli
Doppio? Sì, ma non basta, perché Paolo Ruffini, dopo gli
esilaranti doppiaggi labronici di film cult statunitensi, dopo aver portato in
scena tutto il proprio background, dopo aver convinto tutto e tutti anche come
anchorman a Colorado Cafè in
compagnia di uno dei lati b più
imponenti, quello di Belen Rodriguez, si è dato al musical, anche se a modo
suo, naturalmente, o meglio, come desiderava Claudia, che non è solo sua
moglie, la sua impresaria, la sua confidente, la sua amica, la sua compagna di
viaggio, ma anche e soprattutto la sua musa ispiratrice.
E allora, per la regìa di Claudio Insegno, il Francesco Totti dell’Ardenza (la
somiglianza con il capitano della Roma è impressionante, specialmente nella
cartolina d’auguri natalizia che il Giamburrasca
delle baracchine ha inviato ai suoi amici) si è messo all’anima di
riprodurre, riveduta, corretta e contestualizzata, una delle sit-com più
popolari d’America, Tre cuori in affitto,
appunto, che sarà rappresentata sul palco del teatro Verdi di Montecatini il
prossimo 13 aprile (ore 21:30). Rispetto al serial che spopolò sul piccolo
schermo per ben sette edizioni a cavallo degli anni ’80, non ci sono molte differenze, ma qualche implementazione
degna di un livornese doc, compreso l’immancabile coinvolgimento di alcune
spettatori, che saranno presi, rapiti e catapultati sul palco, come se
facessero parte del cast: la storia è quella originaria, con due ragazze, la
bionda svampitella e la mora aggressiva, alla quale, in questo appartamento affittato
dai coniugi Roper, si aggiunge Jack, che deve fingersi omosessuale per ottenere
il placet per poter convivere con due ragazze.
Jack – facile immaginare – è lui, Paolo Ruffini, graffiante
irriverenza di mare, che si avvarrà, per la rilettura di questa commediola
frivola e leggera ma ricca di doppi sensi, di Justine Matera e Arianna, a loro
volta aiutati e infastiditi da una
serie di comprimari che decretano, alla riedizione, il giusto valore del terzo
millennio: Claudia Campilongo, Emiliano Geppetti, Mara Mazzei e Andrea Spina,
figure adattate ad una scena decisamente dilatabile e adornabile.
L’esperimento ha già dato i suoi frutti, mi ha raccontato la
signora Ruffini al telefono: «Siamo partiti a
gennaio ed è stata, ovunque, un’ovazione: ci siamo fermati un mese per
riflettere e per dare modo a Paolo di ultimare alcuni inderogabili impegni
televisivi; ora però siamo tornati in pista e tra le varie tappe fissate per
questa nuova tournée pre-estiva, non poteva certo mancare Montecatini e il suo
Verdi, che fa ormai parte delle nostre tappe preferite».
Strano, però. In un momento semplicemente catartico per
tutte le imprese, specialmente quelle dello spettacolo, che rappresentano non
certo il vivere, ma il philosophare,
c’è ancora qualcuno che ha voglia di rischiare ed investire: e lo si fa con
Paolo Ruffini, irriverente guastafeste, scurrile, osceno, quasi blasfemo, ma
professionista serio che ha scoperto il segreto – proprio come tutti gli
artisti che non tramontano al termine di una stagione – per come fare a restare
sulla cresta dell’onda: studiare e lavorare duro, senza alzare la cresta.
Il lavoro paga, boia dé!
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[Martedì 3 aprile 2012 - © Quarrata/news 2012]
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