di Luigi
Scardigli
Inutile, approssimativo, letteralmente scollato dalla
realtà, anche di quella avvenuta, oggettivamente bruttino, della serie: se non
andate a vederlo non vi perdete assolutamente nulla. Anzi. Si salva solo perché
il protagonista si chiama Johnny Depp e, siamo onesti, belli e bravi come lui,
non solo a Hollywood, ce ne son davvero pochi.
Per il resto, The rum
diary, Cronache di una passione, nell’europeizzazione del titolo, è
un mix di luoghi comuni, tra l’altro irritanti: il free lance che non riesce a
trovare un editore che gli pubblichi un romanzo, né un direttore di testata che
lo faccia scrivere e che alla sua prima vera ed irripetibile occasione, a Porto
Rico, invece di mettersi all’anima di dare il meglio di sé, si inabissa nel
vortice del vizio, tra rum, pericoli e, come sarebbero potute mancare con lui,
belle donne;
la donna fatale è una slavatissima Amber Heard, che nonostante sia
la mantenuta del boss di turno, non disdegna di farsi ammaliare da chiunque le
riempia gli occhi, con la scena – stomachevole – del bacio vestita sotto la
doccia in funzione.
Michel Rispoli, il fotografo ormai rotto a qualunque
emozione, è forse l’unica nota decente di una pellicola diretta dal regista e
sceneggiatore inglese Bruce Robinson, che narra le vicende, liberamente
riadattate, di Hunter S. Thompson, un falso inno al giornalismo-verità, con
accenni di sindacalismo decadente e decaduto e una storia troppo rosa e poco
avvincente per essere presa in debita considerazione, che si fa addirittura
commovente quando si trasforma in testa di alfiere lanciata contro l’ingiustizia,
che nell’isola portoricana, nel secondo dopoguerra, vuol dire sfruttamento,
speculazione edilizia e mafia dilagante, con tanto di placet da parte della Casa
Bianca.
La pellicola, distribuita dalla 01, è nelle sale italiane
dallo scorso 27 aprile: l’augurio, credetemi, è che ci rimanga il meno
possibile.
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Lunedì 30 aprile 2012 - © Quarrata/news 2012]
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