PISTOIA. Patrizio La Pietra (Pdl), a proposito
del riordino e della razionalizzazione degli enti, scrive:
In un momento di
continue proposte su come riorganizzare l’assetto istituzionale del nostro
paese, con la nascita di comitati, con riflessioni ad ogni livello, vorrei
provare anche io a dare un contributo alla discussione in merito, cercando di
essere travolto il meno possibile dal comune pensiero che sembra il motivo di
fondo di ogni discussione: “niente funziona, cambiamo tutto”. Il che, se lo
permettete, lo ritengo, personalmente, un atteggiamento un po’ “grillino” e
“populista”.
Ma andiamo per
ordine. È in corso un acceso dibattito sul futuro delle province, che vede
posizioni anche diverse all’interno dello stesso Pdl. Credo che la vera
questione, non sia se stare da una parte o dall’altra (con Lucca o con
Firenze), dibattito francamente non molto appassionante.
La vera
questione, sulla quale vale ancora la pena continuare a discutere, è su quale
tipo di ente diventerà la provincia, indipendentemente dalla sua grandezza e
dai territori interessati.
Le province, se
da una parte, possono e devono essere riorganizzate, tenendo conto di parametri
oggettivi di popolazione e ampiezza territoriale, e ottimizzate cercando di
risparmiare risorse (risparmio che già potrebbe essere ottenuto con la chiusura
di Ato, Consorzi, Agenzie, etc., ridando le competenze alle stesse province)
dall’altra, si devono mantenere due principi fondamentali: la rappresentanza
democratica, quindi l’eleggibilità dei propri organi di governo da parte dei
cittadini, e la programmazione sopra comunale di competenze specifiche.
Non è possibile,
ad esempio, lasciare la programmazione scolastica superiore ai comuni, troppo
piccoli per scelte non legate strettamente ai propri confini, così come darla
alle regioni che non sarebbero in grado di cogliere le specificità del
territorio.
Questo vale
anche per l’ambiente, la viabilità, il lavoro, i rifiuti.
La
trasformazione delle province in enti di secondo livello con “consigli”
nominati dai sindaci non può di per sé garantire un giusto equilibrio delle
scelte di programmazione, e non permetterebbe ai cittadini di esprimere,
tramite il proprio voto, nessun giudizio sull’operato dell’ente.
Comunque tutto
ciò non porterà nessun sostanziale risparmio alle casse pubbliche, se non
quello dei costi relativi a consigli e giunte, a scapito di un vuoto
partecipativo che personalmente ritengo dannoso alla tenuta del sistema
democratico del nostro paese.
Auspico che alla
fine si possa fare una scelta lungimirante sul futuro delle province, che si
sappia mantenere un giusto equilibrio fra efficienza e rappresentanza
democratica e si valorizzi così l’identità dei territori che rappresenta, da
sempre, la vera ricchezza del nostro paese.
A questo si
aggiunge la questione legata all’unificazione dei comuni. Anche questo è tema
estremamente delicato a cui si lega, anche in maniera maggiore rispetto alle
province, l’identità territoriale. Quest’ultimo elemento, a mio avviso, non è secondario,
anzi fondamentale della tenuta sociale e economica dei territori.
Molto spesso la
ricchezza di una comunità, trae vitalità proprio da queste differenze
territoriali con le loro tradizioni, le loro culture, da cui poi sono nate le
economie e non ultime le centinaia di prodotti eno-gastronomici che uniti alle
specificità paesaggistiche del territorio rappresentano una ricchezza,
soprattutto sul piano turistico, ancora non bene e del tutto sfruttata.
Tutto questo
sotto l’ombra dei mille campanili.
Chi vuole un
unico comune, lo giustifica con una maggiore efficienza dei servizi, un miglior
rapporto con i cittadini. Tutte argomentazioni legittime.
Ma personalmente
il problema credo vada inquadrato sotto un’altra ottica.
Ci sono
centinaia di piccoli comuni che sono un esempio di efficienza, così come ce ne
sono altri che sono il massimo dell’inefficienza e dello spreco. Questo non
dipende dalla loro dimensione ma dalla capacità di governo che vi si esprime,
quindi non è solo un problema di quantità (la grandezza o meno del comune) ma
di qualità, rappresentata dal sistema di governo che agisce sul territorio
comunale e non solo. Però è giusto, anche, ricordare che molti sindaci attuali
sono impossibilitati a governare perché si sono ritrovati enti completamente
disastrati dal punto di vista finanziario e svuotati dal punto di vista della
programmazione.
Sia ben chiaro,
non voglio puntare il dito verso quello o quell’altro sindaco, ma verso un
sistema, che dalla Bassanini in poi, ha consegnato di fatto il potere degli
Enti Locali nella mani dei funzionari e dei dirigenti, trasferendolo dalla
politica alla burocrazia.
Non a caso,
passano i sindaci, i presidenti, le giunte i partiti, ma i funzionari sono
sempre lì al loro posto (ma questo è un altro discorso).
Su questo tema
credo sia giusto aprire un serio confronto.
Comunque per tutti
i temi su cui è giusto confrontare le varie tesi, l’importante è farlo con
chiarezza di obbiettivi e soprattutto liberi da ogni condizionamento.
In ultimo, mi si
permetta di introdurre una piccola provocazione.
Nel caso in cui
la strada per organizzare al meglio i servizi ai cittadini sia quella di
unificare i comuni, di diminuirne considerevolmente il numero a favore di enti
più grandi; sia quella di creare maxi province con territori sempre più estesi,
con la consapevolezza però che questo potrà creare un maggiore rischio di
allontanamento, anche materiale, dei cittadini dalle istituzioni, mi domando se
le regioni così come le conosciamo adesso hanno ancora senso di essere.
Con regioni che
avranno meno abitanti di molte province, con regioni dove vi saranno 3-4 maxi
province, perché allora non rivedere la composizione delle regioni,
accorpandole in base, ad esempio alle circoscrizioni del voto delle europee
dove sono previste 5 maxi regioni.
Anche questa può
essere uno spunto di riflessione al pari degli altri, e, forse, è proprio
mettendo le mani nell’organizzazione delle regioni che potremmo avere quei
risparmi sia finanziari che di efficienza organizzativa, che oggi tutti noi
agognano.
In conclusione,
la giusta riforma dovrebbe avere dei parametri soprattutto qualitativi e non
quantitativi e partire prima di tutto dall’eliminazione di tutte le quelle
strutture che nel tempo si sono create, sovrapponendosi agli enti locali,
creando sprechi e a volte confusione e disagio per i cittadini. Solo
successivamente si dovrebbe procedere al riordino di Comuni, Province e, perché
no, anche di regioni.
Ricordandosi
sempre che una cosa sono i costi della politica (che devono essere tolti quando
sono sprechi) ed una cosa sono i costi della democrazia che devono essere
garantiti sempre e ad ogni livello.
Patrizio La Pietra
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[Mercoledì 8
agosto 2012 - © Quarrata/news 2012]
Le valutazioni introdotte sono certamente condivisibili, una su tutte, la fagocitazione della politica da parte della burocrazia in seguito allo sciagurato riordino di Bassanini. Purtroppo, adesso il tempo è scaduto e non si potrà usare il bisturi, ma la scure.
RispondiEliminaE, peraltro, non si potrà rimandare oltre. Il danno deve essere fermato anche considerando il danno indiretto di effetti indesiderati. La democrazia sarà salva. Dura lex, sed lex.
Complimenti per l'apprezzabile intervento.
MDB