di Lorenzo Cristofani
Legambiente
invita alla visita sabato 19 maggio con ritrovo alle 16 dinanzi al convento – L’associazione ambientalista propone la
riscoperta degli antichi orti monastici pistoiesi per una loro valorizzazione
condivisa – Possibile ammirare anche i
due chiostri e l’interno del tempio
PISTOIA. I chiostri e gli
orti-giardino hanno da sempre, nell’architettura monastica, una funzione ben
precisa, non sono una semplice appendice agroalimentare: l’hortus, nella tradizione iconografica, è la metafora del Paradiso,
la civitas Dei.
In altre
parole gli alberi e le piante sono coltivati sia per la loro utilità che per il
valore simbolico: fichi, ulivi e viti, ad esempio, oltre a fornire prodotti di
prima necessità, ricordano episodi biblici, scenari evangelici e alludono a
virtù. Motivi, anche questi, che spinsero i Domenicani, qualche anno fa, a
rifiutare di svendere la loro preziosa terra per farne un parcheggio, proposto
dal comune.
Questi
elementi potrebbero essere tenuti in considerazione anche da Sua Eccellenza il
Vescovo di Pistoia, nel ripensare l’uso dell’orto monastico di San
Bartolomeo come parcheggio,
che potrebbe così avere una destinazione più rispettosa, sia delle funzioni
storiche che delle tante utilità sociali dell’area in questione.
La
comunità monastica ha tratto dall’orto-giardino, nel corso della storia, le
risorse per il fabbisogno alimentare e anche entrate monetarie. Infatti è
registrata la vendita di ortaggi, grano e fieno ivi coltivati. In aggiunta c’era
un’entrata fissa, e comune anche a molti altri conventi, quella relativa alla
vendita delle foglie di gelso. La gelsicoltura era il primo anello della
filiera della seta, che proseguiva con l’allevamento dei bachi (la bachicoltura),
che appunto si nutrivano delle foglie di gelso. A Pistoia questa manifattura
trovò notevole impulso: a partire dalla svolta politica del granduca Pietro
Leopoldo, le filande cittadine iniziarono, al pari della manifattura del ferro,
ad essere una delle principali attività del pistoiese.
I coglitori di foglia erano tra coloro che
venivano ammessi ad entrare nei conventi femminili di clausura per raccogliere
e vendere questo prezioso materiale.
Dai
documenti degli anni 50, relativi agli affittuari dell’orto, emerge che una
zona era ancora destinata all’allevamento degli animali: è documentata l’esistenza
di una stalla per bovini, di una per l’asino e di un pollaio. Il che
presupponeva la presenza di un’area destinata al pascolo. Sono documentate
anche la coltivazione di fiori, utilizzati probabilmente per ornare la chiesa,
e la vendita di gladioli (immagine).
Gladioli |
Un’ azienda
agricola integrata si potrebbe quindi affermare, biologica ante litteram, visto che la chimica di sintesi, pesticidi e
diserbanti non esistevano. Dunque sinergica e sostenibile. Un modello sociale e
produttivo efficiente nell’uso delle risorse, come in particolare quella
idrica, garantita grazie alle cisterne e raccoglitori di acqua, che integravano
quella proveniente dal pozzo e dalle gore. Una politica idrica di risparmio e
razionalizzazione che Legambiente ha in parte ripreso nel programma
per Pistoia, stilando i dieci punti per un’amministrazione virtuosa.
Questa è
parte della storia, ricca e preziosa, ma il futuro degli orti monastici, è
ancora tutto da progettare…
(*) – Il complesso
conventuale di San Domenico ha rappresentato, nel corso della sua plurisecolare
storia, e rappresenta ancora, un riferimento essenziale per la vita religiosa e
culturale della città. Per maggiori informazioni si fa riferimento al libro Alessandro Cortesi Elettra Giaconi, Arte e
storia nel convento di San Domenico a Pistoia, da cui sono tratte le
immagini. Si segnala anche il sito www.domenicanipistoia.it.
Cliccare
sull’immagine per ingrandirla.
[Lunedì 14
maggio 2012 - © Quarrata/news 2012]
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