domenica 10 marzo 2013

MA ‘IL MIO GIUDICE’ NON HA CONVINTO

di LUIGI SCARDIGLI

Forse la ‘calligrafia’ narrativa non deve far parte della scena e della proposizione di eventi sciaguratamente delittuosi

PISTOIA. È giusto, in modo sacrosanto, applaudire fragorosamente tutti quelli che provano a fare la guerra alla mafia. È giusto e doveroso perché è una lotta altamente impari, visto e considerato che la criminalità organizzata, oltre che sui suoi perfetti meccanismi, gode a far leva anche su parecchie stanze dello Stato che finge di combatterla, a quanto hanno detto e dicono Dalla Chiesa, Falcone, Borsellino, Caponnetto, Caselli, Ingroia e molti altri magistrati che hanno deciso di vivere per sconfiggerla.

Ed è stato giusto, ieri sera, che il numerosissimo pubblico accorso al teatro Manzoni per assistere alla rappresentazione, targata Gad, di Il mio giudice, abbia ripetutamente tributato all’intera compagnia i plausi della scena, così come, le ovazioni, se le sono prese, prima della rappresentazione, quelli che hanno raccontato le proprie esperienze antimafia, dal giudice Costantini di Pistoia, che ha lavorato un anno, l’ultimo, con Paolo Borsellino, alla giovane rappresentante dell’associazione Rita Atria, la minorenne di Partanna che dopo aver assistito ai funerali del padre e del fratello, giustiziati dalla Mafia, decise, oltre vent’anni fa, di collaborare con la Giustizia, commovendo fino all’adozione il giudice Borsellino, senza dimenticare la Presidente della sezione pistoiese di Libera, che ha ricordato i piccoli grandi successi delle confische eseguiti, in tanti anni di controinformazione, ai danni delle varie e ramificate cosche.
È proprio su quell’adozione, di Paolo Borsellino della minorenne Rita Atria e ai loro due martiri, che si è ispirata la rappresentazione andata in scena ieri sera. Sulla quale, però, mi prendo la licenza, artisticamente, di dissentire con energia. Non può una diciassettenne di Partanna, nell’hinterland poverissimo di Trapani, alla quale sono stati trucidati padre e fratello, decidere di passare dall’altra parte della barricata con quel composto e forbito dolore, così come non può sua madre non straziarsi per l’uccisione del marito e del figlio e non minimamente comprendere la voglia di riscatto, ribellione e vendetta da parte della giovane figlia.
Il teatro, lo ribadisco per l’ennesima volta, deve grondare sudore, dolore, fatica e sangue e quando si decide di mandare in scena una pagina così dolorosa della storia del nostro paese, deviato, infiltrato, corrotto, svenduto e addirittura fotografato su un artificio storico che è la mattanza di piazza D’Amelio e il relativo suicidio della giovane salvata dal magistrato ucciso, non si può premettere alle sensazioni, agli stati d’animo, al doveroso rispetto del background che ha mosso gli animi e gli ideali dei protagonisti reali il nostro compitino di attori, quello che ci catapulta sul palcoscenico e ci fa recitare, con zero incertezze, il nostro copione studiato meticolosamente.
Ad interpretare Rita Atria occorre che ci sia una trapanese ad origine controllata, che oltre che apporre correzioni sintattiche e didascaliche all’idea scolastica e poetica della regista, aggiunga, ma premettendolo, il suo dolore, che è quello, prima di ogni altra sciagura successale, di essere nata in una terra dimenticata, vilipesa, offesa e martoriata.
Altrimenti, per parlare di Paolo Borsellino e Rita Atria e di mille altre pagine scritte con il sangue degli innocenti, ci si può tranquillamente spostare altrove che non sia un teatro e senza scenografie raccontare quelle due e tutte le altre mattanze. Nella speranza, reale e non teatrale, che non restino solo e soltanto luttuose e delittuose pagine di storia.

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[Domenica 10 marzo 2013 | 08:56 - © Quarrata/news]

3 commenti:

  1. Ho letto più volte il suo articolo ma non riesco a comprendere. Mi viene da chiederLe se ha visto lo spettacolo e se lo ha capito.
    Chi ha vissuto quei luoghi, quegli odori di terra di sangue e di atroci dolori, chi ha addosso la polvere che secca le lacrime di un mondo che ti disidrata dall'interno, è rimasto scioccato senza parole dall'interpretazione del Gad del bellissimo testo di Maria Pia Daniele.
    Vedo più giusto intitolare il suo articolo "il mio giudice, non MI ha convinto".

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  2. Mi trovo d'accordo con il Sig.Veldorale. Ho visto tutt'altro che "composto e forbito dolore" nell'angoscia portata in scena Sabato sera e la "comprensione" che lei chiede al personaggio della madre non c'è stata storicamente(la tomba di Rita lo dimostra). Sul suo consiglio, poi, di scegliere attrici compaesane di Rita per il loro "autoctono" dolore per la Sicilia soprassiedo dicendo solo che la Mafia e i martiri di giustizia sono un cancro ITALIANO e finchè questo non ci entrerà in testa la Mafia vincerà!

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  3. Leggo solo adesso. Ho partecipato alla serata di sabato scorso al Manzoni e mi sento pertanto autorizzata a replicare a questo intervento dicendo che purtroppo mi sfugge il significato ultimo di questo commento di Luigi Scardigli. La pura contingenza geografica la vincerebbe, secondo lei,sull'oggettivo progetto del lavoro del Gad. Mi ritrovo a doverle dire che trovo il suo intervento intellettualmente incomprensibile e artisticamente limitante

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