di LUIGI SCARDIGLI
Forse la ‘calligrafia’ narrativa non deve far
parte della scena e della proposizione di eventi sciaguratamente delittuosi
PISTOIA. È giusto, in modo sacrosanto, applaudire
fragorosamente tutti quelli che provano a fare la guerra alla mafia. È giusto e
doveroso perché è una lotta altamente impari, visto e considerato che la
criminalità organizzata, oltre che sui suoi perfetti meccanismi, gode a far
leva anche su parecchie stanze dello Stato che finge di combatterla, a quanto
hanno detto e dicono Dalla Chiesa, Falcone, Borsellino, Caponnetto, Caselli,
Ingroia e molti altri magistrati che hanno deciso di vivere per sconfiggerla.
Ed è stato giusto, ieri sera, che il
numerosissimo pubblico accorso al teatro Manzoni per assistere alla
rappresentazione, targata Gad, di Il mio
giudice, abbia ripetutamente tributato all’intera compagnia i plausi della
scena, così come, le ovazioni, se le sono prese, prima della rappresentazione,
quelli che hanno raccontato le proprie esperienze antimafia, dal giudice
Costantini di Pistoia, che ha lavorato un anno, l’ultimo, con Paolo Borsellino,
alla giovane rappresentante dell’associazione Rita Atria, la minorenne di
Partanna che dopo aver assistito ai funerali del padre e del fratello,
giustiziati dalla Mafia, decise, oltre vent’anni fa, di collaborare con la
Giustizia, commovendo fino all’adozione il giudice Borsellino, senza dimenticare
la Presidente della sezione pistoiese di Libera, che ha ricordato i
piccoli grandi successi delle confische eseguiti, in tanti anni di
controinformazione, ai danni delle varie e ramificate cosche.
È proprio su quell’adozione, di Paolo Borsellino
della minorenne Rita Atria e ai loro due martiri, che si è ispirata la
rappresentazione andata in scena ieri sera. Sulla quale, però, mi prendo la
licenza, artisticamente, di dissentire con energia. Non può una diciassettenne
di Partanna, nell’hinterland poverissimo di Trapani, alla quale sono stati
trucidati padre e fratello, decidere di passare dall’altra parte della
barricata con quel composto e forbito dolore, così come non può sua madre non
straziarsi per l’uccisione del marito e del figlio e non minimamente
comprendere la voglia di riscatto, ribellione e vendetta da parte della giovane
figlia.
Il teatro, lo ribadisco per l’ennesima volta,
deve grondare sudore, dolore, fatica e sangue e quando si decide di mandare in
scena una pagina così dolorosa della storia del nostro paese, deviato,
infiltrato, corrotto, svenduto e addirittura fotografato su un artificio
storico che è la mattanza di piazza D’Amelio e il relativo suicidio della
giovane salvata dal magistrato ucciso, non si può premettere alle sensazioni,
agli stati d’animo, al doveroso rispetto del background che ha mosso gli animi
e gli ideali dei protagonisti reali il nostro compitino di attori, quello che
ci catapulta sul palcoscenico e ci fa recitare, con zero incertezze, il nostro
copione studiato meticolosamente.
Ad interpretare Rita Atria occorre che ci sia
una trapanese ad origine controllata, che oltre che apporre correzioni
sintattiche e didascaliche all’idea scolastica e poetica della regista,
aggiunga, ma premettendolo, il suo dolore, che è quello, prima di ogni altra
sciagura successale, di essere nata in una terra dimenticata, vilipesa, offesa
e martoriata.
Altrimenti, per parlare di Paolo Borsellino e
Rita Atria e di mille altre pagine scritte con il sangue degli innocenti, ci si
può tranquillamente spostare altrove che non sia un teatro e senza scenografie
raccontare quelle due e tutte le altre mattanze. Nella speranza, reale e non
teatrale, che non restino solo e soltanto luttuose e delittuose pagine di
storia.
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[Domenica 10 marzo 2013 | 08:56 - © Quarrata/news]
Ho letto più volte il suo articolo ma non riesco a comprendere. Mi viene da chiederLe se ha visto lo spettacolo e se lo ha capito.
RispondiEliminaChi ha vissuto quei luoghi, quegli odori di terra di sangue e di atroci dolori, chi ha addosso la polvere che secca le lacrime di un mondo che ti disidrata dall'interno, è rimasto scioccato senza parole dall'interpretazione del Gad del bellissimo testo di Maria Pia Daniele.
Vedo più giusto intitolare il suo articolo "il mio giudice, non MI ha convinto".
Mi trovo d'accordo con il Sig.Veldorale. Ho visto tutt'altro che "composto e forbito dolore" nell'angoscia portata in scena Sabato sera e la "comprensione" che lei chiede al personaggio della madre non c'è stata storicamente(la tomba di Rita lo dimostra). Sul suo consiglio, poi, di scegliere attrici compaesane di Rita per il loro "autoctono" dolore per la Sicilia soprassiedo dicendo solo che la Mafia e i martiri di giustizia sono un cancro ITALIANO e finchè questo non ci entrerà in testa la Mafia vincerà!
RispondiEliminaLeggo solo adesso. Ho partecipato alla serata di sabato scorso al Manzoni e mi sento pertanto autorizzata a replicare a questo intervento dicendo che purtroppo mi sfugge il significato ultimo di questo commento di Luigi Scardigli. La pura contingenza geografica la vincerebbe, secondo lei,sull'oggettivo progetto del lavoro del Gad. Mi ritrovo a doverle dire che trovo il suo intervento intellettualmente incomprensibile e artisticamente limitante
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