le scrivo con tutto il rispetto che ogni cittadino pistoiese deve a chi, come Lei, ricopre la cattedra che fu del Vescovo Atto. E per noi pistoiesi, come Lei sa bene, l’antico presule Atto è un simbolo identitario e civile: il legame viscerale che unisce, anche fisicamente (pensi alle antiche vestimenta nel Museo della Cattedrale e alle varie riesumazioni, nel corso della storia, del corpo intatto e ancora oggi oggetto di devozione – l’ultima nel ‘53 con mons. Sabatino Ferrali), il monaco vallombrosano alla città risale alla storia e alle vicende degli uomini del XII secolo.
Quando ho letto sulla stampa, nei Suoi auguri pasquali e a proposito dell’impegno dei cristiani nella storia, che “È il tempo di parole chiare su principi e comportamenti” mi è subito venuto naturale ripercorrere certe Sue considerazioni e rivolgerLe alcune chiare domande, cui, sono certo, avrò parole di risposta.
Mi ha spinto nelle seguenti riflessioni l’esempio di alcuni cristiani dentro la storia: certamente il vescovo Atto è uno, ma penso in particolare al ruolo, fondamentale nelle vicende cittadine, degli ordini mendicanti che nel tempo si sono stabiliti nella nostra terra.
Sono poi convinto che anche Lei avrà ripensato alla storia della città e ai valori che sono riflessi nella sua stratificazione urbana. Infatti era presente alla presentazione del libro del Reverendo Monsignore Giordano Frosini, e condividerà per certo che le città hanno una storia e ad essa devono rifarsi per progettare i futuro, senza abbattere le memorie del passato: la città verrebbe (altrimenti ) depauperata nella sua stessa essenza. In questo senso gli antichi orti monastici sono stati un tratto distintivo di Pistoia, la metafora della Gerusalemme Celeste, la civitas Dei, e da più parti si crede che l’orto sociale ne sia la naturale e degna evoluzione.
Ecco Sua Eccellenza, due luoghi in città, l’orto di Monteoliveto e l’antico orto monastico di San Bartolomeo sono due aree d’elezione per mettere in atto quell’impegno che Lei ha manifestato in svariate circostanze e al quale ha richiamato la Chiesa. In particolar modo, l’orto di San Bartolomeo si presterebbe a realizzare le aspirazioni che Lei ha indicato nella XXI settimana teologica, su Questione ecologica e coscienza cristiana, ovvero quelle di un nuovo stile di vita nella Chiesa pistoiese che Lei ha in altre occasioni annunciato.
Mi riferisco al tavolo del lavoro, quel percorso che Lei intende avviare con istituzioni, categorie economiche e associazioni, il cui obiettivo è superare gli steccati di parte per guardare all’interesse di tutti e non delle singole parti per mettere concretamente in rete i soggetti coinvolti sui problemi dell’economia e del lavoro. Del resto anche il progetto Policoro promosso dalla Chiesa di Pistoia ha come orizzonte la promozione integrale della persona e delle sue esigenze lavorative.
Giustamente infatti Lei afferma che il lavoro assicura accesso ai beni d’uso e consumo, relazioni, rapporti con gli altri e dunque reti all’interno delle quali si matura il senso di sé. Allora Sua Eccellenza, non trova che utilizzare il suolo dell’antico orto-giardino per ricavare un maxi parcheggio interrato sia la negazione di tutto questo? Che costituisca una rendita parassitaria, non produttiva rispetto ad un orto urbano e lontanissima dall’integrazione sociale da Lei auspicata?
Angelo Bagnasco, presidente della Cei, di cui Lei è peraltro il vicepresidente, ha tenuto di recente una lezione alla London school of economics parlando di “un progetto di società che risponda a quell’umanesimo integrale e aperto alla trascendenza e agli altri che ha fatto l’Europa”. Lei ritiene che questo modello sia sperimentabile nell’antico orto monastico di San Bartolomeo, alla luce delle risorse alimentari, e quindi economiche, che si possono trarre da tale spazio, come è tendenza ormai diffusa in molte realtà, anche ecclesiastiche (http://www.tuttogreen.it/orto-della-fede-a-milano-un-piccolo-paradiso-presso-la-chiesa-cristiana-protestante/)?
Quando Lei cita certe encicliche, basilari per la dottrina sociale della Chiesa, Populorum progressio, Laborem exercens e Caritas in Veritate, non avverte una certa contraddizione con tutto ciò che comporta quell’ipotizzata opera infrastrutturale, inconsueta per le attività di una chiesa?
Nell’ultima enciclica citata è inoltre menzionato il diacono e martire Lorenzo, di cui porto il nome ma non certo la santità, testimone della comunità delle persone come vero fine della Chiesa e antesignano dei beni comuni; non Le sembra che avere come finalità 350 automobili sia un pochino dissonante, non solo dalla civitas Dei rappresentata dall’antico orto, ma anche da tutta la simbologia ad esso collegata?
Credo che adesso in città sia maturo il tempo perché vari soggetti possano, come da Lei opportunamente suggerito, confrontarsi e attivare, nell’antico orto di San Bartolomeo come in altri simili spazi, quelle prassi virtuose che portino ad un benessere collettivo e a quella coesione e armonia sociale che Lei sovente richiama. Personalmente ho la certezza che Lei avrà il piacere di rispondere puntualmente, animato dalla chiara ricerca del dialogo e della verità – che è poi il senso del messaggio evangelico –, alle piccole perplessità di chi confida nel ruolo dell’erede del Vescovo Atto.
Lorenzo Cristofani
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.[Martedì 10 aprile 2012 - © Quarrata/news 2012]
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