di Luigi
Scardigli
Danza esasperata dalle note di un tango
triviale, osceno, fisico, peccaminoso, truce, violento, eroticissimo, nel cerchio infernale di un ‘luogo-non luogo’
La morte non ammette repliche e, siamo onesti, anche se ne
concedesse qualcuna, nessuno di noi, una volta assente, avrebbe la minima e pallida intenzione di riprovare.
Soprattutto perché non si può. E non si potrà mai. Se a questo concetto,
difficilmente opinabile, sancito da Jean Paul Sartre con il dramma A porte chiuse (Huis clos, titolo
originario), aggiungete poi l’intuizione, difficoltosa, ma geniale, di Marine
Galstyan, la regista dell’audace trasposizione, l’equazione, dimostrabile con
non poche difficoltà, è quella dello spettacolo andato in scena ieri sera al
teatro Manzoni di Pistoia, in una prima nazionale-sperimentale di cui, facile
profetizzare, si risentirà parlare. Parecchio.
È vero, la mattatrice del dramma-coreografia, è stata
Francesca Nerozzi, qualche centimetro sopra la sontuosa performance degli altri
anche, forse, perché giocava in casa, Pistoia, una città che ha tardato un po’,
ad essere onesti, a dare spazio ad una delle sue artiste più brave e serie, duttili
e belle, poliedriche e vere, cresciuta e plasmata da Loris Gai e poi
perfezionatasi a Roma, dove nonostante un nobilissimo trascorso nella danza, ha
preferito resettare tutto e contaminare e contaminarsi con tutto il resto che
fa spettacolo.
Limitare il giudizio della rappresentazione a Francesca
Nerozzi, però, sarebbe, oltre che ingeneroso nei confronti degli altri, anche
artisticamente miope, perché nessun dettaglio del puzzle può essere omesso o
non decantato a dovere, pena lo svilimento di un’architettura coraggiosa.
A cominciare, seguendo l’ordine della rappresentazione, da
William Pagano, il cameriere, il Caronte sartriano, colui che ha le
chiavi della porta d’ingresso dell’inferno nel quale i tre protagonisti saranno
condannati a sopravvivere per il resto della loro eternità, un Lucifero
anfetaminico che riesce perfettamente a fare ‘i disonori di casa’, illustrando
agli eterni inquilini tutte le controindicazioni di quella lugubre dimora,
senza finestre e con il solo arredo di tre sedie, metalliche, che paiono
ricordare quelle delle torture elettriche, ma senza corrente.
E poi i coniugi Galstyan, Marine e Sargis: la prima – Ines
Serrano, donna vissuta d’espedienti sentimentali –
regista e interprete; il secondo – Giosef Garcin, un improbabile carioca amante
e amato – unico uomo infernale che ha anche curato le minimali coreografie, che
si sono potute avvalere di un fondo palco nel quale ha continuato a scivolare l’esistenza
delle sopravvivenze. Francesca Nerozzi invece è Estella Rigault, una parigina
che ha confuso l’amore con l’agiatezza e che, quasi per contrappasso, sarà
condannata ad amare un uomo che la detesta.
Il bello e lo stratosferico –
sul palco e a recensirlo – viene ora, quando dopo una lunga premessa, che poi
risulterà indispensabile, i tre dannati inizieranno ad interagire tra loro,
usando il linguaggio che conoscono meglio, la danza, esasperata dalle note di
un tango triviale, osceno, fisico, peccaminoso, truce, violento, eroticissimo,
la vera linea infernale di un luogo-non luogo, l’inferno delle tre
sedie, quasi volesse essere un retaggio biblico ed evangelico del padre, del
figlio e dello spirito santo, la triade paradisiaca che nell’occasione si
sporca e contamina l’anima per riuscire a sopravvivere al nichilismo infernale.
La platea del Manzoni, gremita ogni oltre ragionevole rosea
aspettativa, ha seguito in religioso silenzio – bel paradosso, per una
rappresentazione infernale – l’intero dramma-coreografia, per poi liberare
tensioni ed emozioni sull’atto conclusivo, un tripudio meritato che ha ulteriormente
ingigantito l’emotività dei protagonisti, che non hanno saputo trattenere le
lacrime.
Solo allora, le porte del Manzoni, si sono riaperte,
consentendo al pubblico di defluire: fino all’ultimo istante, però, tutto si è
svolto a porte chiuse, senza bisogno di alcuna diabolica intimidazione.
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
Foto di Luigi Scardigli.
[Domenica 1° aprile 2012 - © Quarrata/news 2012]
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