di Andrea Gasperini
Quando, dal cesio allumate,
l’aduste sue membra
nel Sesia addolcisce,
e al picco del monte
s’affaccia quell’astro
che il nostro maggiore
riflette in argento,
dal cor radioattivo
s’innalza nel cielo
dolente il suo canto,
che isotopi annovera:
“O uranio, e tu stronzio,
o gallio, e mio cesio,
che il mal degli umani
ha ceduto ai miei giorni,
cessate la ridda
degli atomi folli,
che ardon in vampa
secreta e sottile.
Ridate al mio seno
la pena di un tempo,
ove nebbia di Langa
addiacciava il mio vello,
ove acciari tonanti
spandevano il sangue
di porci selvaggi,
miei pari od ancestri.
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Allora, me ’l credo,
più alta giustizia
regnava la terra:
ché sol la Natura
era a tutti i viventi
or pia, or crudele,
ma degna sovrana”.
O porca sapienza,
o suina passione,
o core eccitato
da vil radiazione,
accogli la prece
e il mesto commiato
di chi la tua sorte
terrena compiange.
Io vo’ ch’empio fato
non neghi al tuo grifo
gli elisi terreni
vagliare grugnendo.
Tu, verra pietosa,
anche a noi dona pace.
Fa’ che nuclei pesanti
non arrivin al desco.
Che le sapide carni,
in budello rinchiuse,
delle gole e del ventre
non sian vindici giuste.
Amen.
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[Venerdì 8 marzo 2013 | 19:15 - © Quarrata/news]
geniale e dolentemente bello questo componimento
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