mercoledì 18 aprile 2012

‘LEBLANC’, ALTISSIMI LIVELLI DI POESIA


di Luigi Scardigli

Difficile iniziare a parlare e scrivere di Leblanc. O meglio, è facilissimo, ma solo perché è un Cd di estrema gradevolezza, che ha visto la luce discografica la settimana scorsa con alcuni brani delle complessive dieci tracce contenute che sono veramente gemme di rara bellezza. Nell’augurio che scrivendo venga ispirato da un qualsiasi ordine emotivo razionale, esordirò raccontandovi chi sono i musicisti di questa interessantissima registrazione, effettuata presso gli studi Rokkaforte di Castiglione del Lago, in provincia di Perugia e prodotto dalla Gabbiano Jonathan.

Il titolo, Leblanc, tradisce l’omonima regina del lavoro, Ty Le Blanc, una texana che come moltissime donne di colore ha affinato il proprio diaframma iniziando a cantare gospel in chiesa, istigata da papà Percy, di El Paso, dove prima del blues si fronteggiavano, con colt scintillanti, sceriffi e gringo, per poi impreziosire il proprio bagaglio trasversalmente, una poliedricità canora che le consente di essere adorabile tanto alle prese con il blues, che con le tonalità jazz e rithm and blues, con uno sfondo easyrock che dona alla regalità della sue interpretazioni quell’indispensabile sporcizia. La ragazza, una delle voci più interessanti e applaudite del circuito, si è avvalsa, per la realizzazione del cofanetto, di alcune poderose collaborazioni, quelle offerte dal sax di Andrea Innesto, la voce di Gallo George, la tromba di Matteo Ciancaleoni, il sax tenore di Sauro Truffini, il trombone di Andrea Angeloni, gli arrangiamenti di Lorenzo Cannelli e la sezione fiati “P-Funking”; per il parto invece, la texana che ignora il far west, si è lasciata guidare dall’esperienza di Pippo Guarnera al piano e all’Hammond, Leon Price (Carmelo Leotta) al basso, Vince Vallicelli alla batteria e Nick Becattini alla chitarra.
I convenevoli sono esauriti, finalmente: ora mi addentrerò tra i meandri emotivi, nella speranza di non perdermi e disperdermi con la stessa naturalezza con la quale mi sono permesso il lusso di esplorare innumerevoli anfratti sentimentali, ascoltando Leblanc. Un lavoro delicatissimo, bellissimo, che trasuda conoscenza, coscienza e sapienza, grazia e padronanza, sound e groove, ruggente armonia, elasticità e coraggio. Sì, coraggio, perché ce ne vuol parecchio per permettersi il lusso di stravolgere Steve Wonder e trasformare la leggendaria “Part time lover”, un brano da palestra con auricolari su un tapis-roulant, in un lento da megapomiciate; e che dire del tributo a B. B. King nell’interpretazione di una delle sue più belle e famose canzoni, “Rock me baby”, che l’afroamericana Ty affronta con impressionante disinvoltura; senza dimenticare di analizzare a fondo The rising sun, l’ottava traccia della raccolta scritta a quattro mani da Ty e Pippo, una danza jazz, un effluvio di worldmusic, un saggio, minimalista, ma ossessivo, di diabolica armonia.
Ma si capisce dall’introduzione, Dark well, che la padrona di casa ha composto con Nick, che cosa riservi la registrazione; un’atmosfera anni ‘70 che parrebbe voler anticipare una sontuosa rilettura di disco-funky e che invece prepara il campo dell’ascolto ad una serie incantevole di contaminazioni e riletture, tributi e azzardi, rock blues e tutto quel che ne consegue.
Certo, la reunion strumentale non è stata un azzardo: i giovanotti si conoscono alla perfezione e soprattutto ognuno di loro sa perfettamente quanto sia vasto e duttile il rispettivo bagaglio dei colleghi: Vallicelli e Guarnera, ad esempio, non si saranno certo dimenticati l’esperienza comune fatta con Eugenio Finardi in Anima blues (2005), così come Price non avrà certo lasciato nel cassetto della propria abitazione la mole di collaborazioni effettuate negli ultimi dieci anni. È di Nick, però, che mi preme parlarvi. Ma non solo perché conosco e seguo la sua musica da tempo, ma perché è questo momento, forse, quello catartico, decisivo, sontuoso, consacratorio, della sua lunga e nobile esistenza artistica. È lui il tramite delle dieci tracce, il trait d’union tra un vocalismo di Ty e l’ouverture del brano successivo; sono i suoi assoli che innalzano oltre l’atmosfera i decibel del piacere, sono i suoi raccordi a mantenere altissimi i livelli della poesia, è il suo sound, adulto, responsabile, maturo, ma non per questo non animato dall’esuberanza di un neofita, a creare i presupposti di un lavoro poderoso, importante, ricco.
Certo, l’equilibrio strumentale, il rigore sintattico, la ponderata carica creativa che si interfaccia, rigorosamente, con il pentagramma e i suoi insindacabili dettami, favoriscono non poco l’esuberanza della sei corde di Nick che si nasconde, fino a camuffarla, la voce di Ty.
Domenica 15 luglio, nella terza e ultima serata della 33esima edizione del Festival Blues di Pistoia, Ty, Nick e gli altri di Leblanc saliranno sul palco di piazza del Duomo: un’esibizione come decine di altre, che verrà prima e dopo altre sontuose performances in giro per l’Italia, in altre piazze, su altri palcoscenici, al cospetto di un pubblico forse impercettibilmente diverso perché appassionato dal medesimo desiderio, che vivrà forse meglio di noi pistoiesi lo show di Nick, in modo più distaccato; perché noi, che lo abbiamo visto diventare grande, di Festival in Festival, ci lasceremo prendere dall’emozione. Un po’, solo un po’.

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[Mercoledì 18 aprile 2012 - © Quarrata/news 2012]

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