di Luigi
Scardigli
Difficile iniziare a parlare e scrivere di Leblanc. O meglio, è facilissimo, ma
solo perché è un Cd di estrema gradevolezza, che ha visto la luce discografica
la settimana scorsa con alcuni brani delle complessive dieci tracce contenute
che sono veramente gemme di rara bellezza. Nell’augurio che scrivendo venga
ispirato da un qualsiasi ordine emotivo razionale, esordirò raccontandovi chi
sono i musicisti di questa interessantissima registrazione, effettuata presso
gli studi Rokkaforte di Castiglione del Lago, in provincia di Perugia e
prodotto dalla Gabbiano Jonathan.
Il titolo, Leblanc, tradisce l’omonima regina del
lavoro, Ty Le Blanc, una texana che come moltissime donne di colore ha affinato
il proprio diaframma iniziando a cantare gospel in chiesa, istigata da papà
Percy, di El Paso, dove prima del blues si fronteggiavano, con colt
scintillanti, sceriffi e gringo, per poi impreziosire il proprio bagaglio
trasversalmente, una poliedricità canora che le consente di essere adorabile tanto
alle prese con il blues, che con le tonalità jazz e rithm and blues, con uno
sfondo easyrock che dona alla regalità della sue interpretazioni quell’indispensabile
sporcizia. La ragazza, una delle voci
più interessanti e applaudite del circuito, si è avvalsa, per la realizzazione
del cofanetto, di alcune poderose collaborazioni, quelle offerte dal sax di
Andrea Innesto, la voce di Gallo George, la tromba di Matteo Ciancaleoni, il
sax tenore di Sauro Truffini, il trombone di Andrea Angeloni, gli arrangiamenti
di Lorenzo Cannelli e la sezione fiati “P-Funking”; per il parto invece, la
texana che ignora il far west, si è lasciata guidare dall’esperienza di Pippo
Guarnera al piano e all’Hammond, Leon Price (Carmelo Leotta) al basso, Vince
Vallicelli alla batteria e Nick Becattini alla chitarra.
I convenevoli sono esauriti, finalmente: ora mi addentrerò
tra i meandri emotivi, nella speranza di non perdermi e disperdermi con la
stessa naturalezza con la quale mi sono permesso il lusso di esplorare
innumerevoli anfratti sentimentali, ascoltando Leblanc. Un lavoro
delicatissimo, bellissimo, che trasuda conoscenza, coscienza e sapienza, grazia
e padronanza, sound e groove, ruggente armonia, elasticità e coraggio. Sì,
coraggio, perché ce ne vuol parecchio per permettersi il lusso di stravolgere
Steve Wonder e trasformare la leggendaria “Part
time lover”, un brano da palestra con auricolari su un tapis-roulant, in un
lento da megapomiciate; e che dire del tributo a B. B. King nell’interpretazione
di una delle sue più belle e famose canzoni, “Rock me baby”, che l’afroamericana Ty affronta con impressionante
disinvoltura; senza dimenticare di analizzare a fondo The rising sun, l’ottava traccia della raccolta scritta a quattro
mani da Ty e Pippo, una danza jazz, un effluvio di worldmusic, un saggio,
minimalista, ma ossessivo, di diabolica armonia.
Ma si capisce dall’introduzione, Dark well, che la padrona di casa ha composto con Nick, che cosa
riservi la registrazione; un’atmosfera anni ‘70 che parrebbe voler anticipare
una sontuosa rilettura di disco-funky e che invece prepara il campo dell’ascolto
ad una serie incantevole di contaminazioni e riletture, tributi e azzardi, rock
blues e tutto quel che ne consegue.
Certo, la reunion strumentale non è stata un azzardo: i
giovanotti si conoscono alla perfezione e soprattutto ognuno di loro sa
perfettamente quanto sia vasto e duttile il rispettivo bagaglio dei colleghi:
Vallicelli e Guarnera, ad esempio, non si saranno certo dimenticati l’esperienza
comune fatta con Eugenio Finardi in Anima
blues (2005), così come Price non avrà certo lasciato nel cassetto della
propria abitazione la mole di collaborazioni effettuate negli ultimi dieci
anni. È di Nick, però, che mi preme parlarvi. Ma non solo perché conosco e
seguo la sua musica da tempo, ma perché è questo momento, forse, quello
catartico, decisivo, sontuoso, consacratorio, della sua lunga e nobile
esistenza artistica. È lui il tramite delle dieci tracce, il trait d’union tra un vocalismo di Ty e l’ouverture
del brano successivo; sono i suoi assoli che innalzano oltre l’atmosfera i
decibel del piacere, sono i suoi raccordi a mantenere altissimi i livelli della
poesia, è il suo sound, adulto, responsabile, maturo, ma non per questo non
animato dall’esuberanza di un neofita, a creare i presupposti di un lavoro
poderoso, importante, ricco.
Certo, l’equilibrio strumentale, il rigore sintattico, la
ponderata carica creativa che si interfaccia, rigorosamente, con il pentagramma
e i suoi insindacabili dettami, favoriscono non poco l’esuberanza della sei
corde di Nick che si nasconde, fino a camuffarla, la voce di Ty.
Domenica 15 luglio, nella terza e ultima serata della
33esima edizione del Festival Blues di Pistoia, Ty, Nick e gli altri di Leblanc saliranno sul palco di piazza
del Duomo: un’esibizione come decine di altre, che verrà prima e dopo altre
sontuose performances in giro per l’Italia, in altre piazze, su altri
palcoscenici, al cospetto di un pubblico forse impercettibilmente diverso
perché appassionato dal medesimo desiderio, che vivrà forse meglio di noi
pistoiesi lo show di Nick, in modo più distaccato; perché noi, che lo abbiamo
visto diventare grande, di Festival in Festival, ci lasceremo prendere dall’emozione.
Un po’, solo un po’.
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Mercoledì 18 aprile 2012 - © Quarrata/news 2012]
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