di Luigi
Scardigli
Tra ventiquattro ore – saltando a piè pari lo show dei
Subsonica, domani sera in piazza –, si apriranno i cancelli della 33esima
edizione del Festival Blues. E pietra miliare della prima delle tre serate, con
tutto il rispetto di chi è in scaletta, sarà B. B. King, che anche all’esordio
di questa manifestazione ormai decisamente leggendaria, proprio il 13 luglio di
32 anni fa, nel 1980, venne acclamato, con Fast Domino, Ella Fitzgerald e due
giovanissimi rampolli del blues, Pino Daniele e Roberto Ciotti, come icona
vivente del Blues. Allora però, Bibbiching
era solo il miglior signore di mezza età che con la sua Lucille, affiancato solo da Muddy Waters, forse, riusciva, in modo
planetario, ad essere riconosciuto dopo i primi due accordi.
Ma non è dell’87enne che non ha ancora smesso di sognare – e
far sognare – che voglio parlarvi: è sul tempo che è passato, sulle cose che
sono successe, da allora, che mi preme fermarmi un po’ a pensare. Lo farò con
voi, provando a spartire le mie sensazioni, le mie emozioni, le mie
considerazioni.
Per assistere al primo Blues’In
– si chiamava così, allora – organizzai un viaggio, perché abitavo ancora a
Roma, in quegli anni, ma di questa musica ero già terribilmente impastato:
frequentavo il centro jazz Saint Louis, a Roma, nei paraggi di San Giovanni e
lì, tra amici e conoscenti, strinsi amicizia con Piero Fortezza, batterista
stimatissimo, tuttora, che all’epoca dei fatti era uno degli strumentisti
preferiti da Roberto Ciotti, bluesman metropolitano. E poi, prima di B. B. King,
quella sera, in piazza del Duomo, mi premeva vedere, finalmente sul palco, la
mia proiezione musicale più ambita: Pino Daniele. Conoscevo a mente tutte le
sue canzoni, quelle contenute nei tre album che precedettero la sua apparizione
pistoiese: Pino Daniele, Nero a metà e Bella ’mbriana.
Avevo 17 anni. E facevo il freak; anzi, ero un freakkettone.
E ne andavo fiero. I freak si riconoscevano lontano un miglio: erano vestiti
molto colorati (qualcosa sono riuscito a conservare, di quei tempi), portavano
i capelli lunghi (con quelli non ce l’ho fatta), ascoltavano rigorosamente il
blues, con perdonabili eccezioni, tipo il funky impegnato, il jazzid,
rispettando il rock, ma senza stravedere per il rock and roll.
Le sostanze che circolavano nei branchi freak stupefacevano
con moderazione: peace and love era il motto; leggevano Lotta Continua e i libri, per un’equazione
che oggi stento a spiegare, prima che difendere, li rubavano: la cultura doveva
essere gratuita, ignorando che i libri si scrivono, stampano e poi si rilegano
e non si materializzano per magìa.
Ma la cosa che distingueva il popolo freak, che spopolò
nelle prime edizioni del Blues’In, erano i cani, bastardi doc, al
seguito: mal nutriti, disidratati, ma mai ringhiosi. Anche i più grandi, i
molossi, sembravano aver sposato la filosofia, poverissima, dei loro padroni,
che padroni non potevano certo essere, perché la proprietà, per i freak, era un
furto.
A ventiquattro ore dall’apertura dei cancelli della 33esima
edizione del Festival Blues, reincarnazione naturale del Blues’In, in
città non ho ancora visto un freak. Mi auguro di essere vergognosamente
smentito e che tra domani e venerdì Pistoia si riempia di quella specie
meravigliosa, quel popolo sublime di illusi che sono riusciti a superare i
marosi del fiumiciattolo che provarono a guadare preoccupandosi di non bagnarsi
i piedi: qualcuno di loro – li conosco bene –, che sono riusciti ad arrivare di
là, sono ai vertici delle Partecipate, spostano capitali bancari, si vestono
rigorosamente griffato, hanno i capelli corti o hanno preferito rasarsi a zero
e si stupefanno con sostanze altamente proibite; altri, invece, sono morti:
qualcuno si lasciò lusingare dai tentacoli della droga; altri contrassero
malattie probabilmente costruite nei laboratori dove si decidono le sorti dei
sopravvissuti e sono stati dimenticati.
In molti, al di là di ogni ragionevole scelta di vita
postuma, sono diventati padri e madri e dai rispettivi figli si sono
preoccupati, soprattutto, di tener loro lontano il calice del disallineamento.
I giovani freak, infatti, non esistono più.
È per questo, forse, che è profondamente giusto che la tre
giorni di musica a Pistoia non si chiami più, da anni, molti anni, Blues’In…
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Giovedì 12 luglio 2012 - © Quarrata/news 2012]
Caro Luigi, una piccola correzione, forse un po' pignola, ma che mi consentirai per affezione alla creatura. Ella Fitzgerald in quella prima edizione non c'era; e il festival non si chiamava Blues'In, ma "Pistoia Blues Festival 80". Blues'In fu adottato qualche anno dopo. Non ricordo se già dalla seconda edizione, con il cambio di gestione. Ella non c'era, ma nella terza serata, diciamo "fuori festival" ci fu Dizzy Gillespie. Fuori festival perchè i puristi non lo consideravano rigorosamente blues. Allora ci si poteva permettere anche questo. Un caro saluto... freak. Marcello Bucci
RispondiEliminaSottoscrivo quanto detto Da Marcello. Ella non c'era, Dizzy si.
RispondiEliminaLa denominazione "Bluesin' fu mantenuta solo per le edizioni 1985-86-87-88, dopodichè si tornò a quella originale di "Pistoia Blues Festival".
Un forte abbraccio.