domenica 17 marzo 2013

ANDREA BETTI TIBET, ANARCHICO ININSURREZIONALISTA ALLO ‘ZUCCHERO SPINATO’

di LUIGI SCARDIGLI

PISTOIA. È uscito tredici anni fa, La felicità terribile, opuscolo surreale premonitore, di denuncia sociale, come tiene sardonicamente a sostenere l’autore, Andrea Betti Tibet, presente, ieri  pomeriggio, presso la libreria Lo Spazio, in via dell’Ospizio, a Pistoia, per ripromuovere il proprio saggio letterario.
Ad accompagnarlo, in questa laica resurrezione, amici di cordata di una parete liscia, quasi viscida, che riescono comunque a scalare, chissà per quali meccanismi: Simone Molinaroli, che ha introdotto il reading e Cecilia Lattari, che ne ha proseguito l’incessante surrealizzazione, riuscendo a coinvolgere, in una metrica linguistica e temporale anomala, imperfetta e poco telecomandata anche il numeroso pubblico presente, che non aspettava altro, del resto.

Come se non bastassero già la confusione mentale di ognuno di loro-noi, si è aggiunto, ad un carosello oggettivamente e onestamente improvvisato, anche il pianto di qualche neonato non potuto parcheggiare altrove, il delicato sussurrare di due clienti – poste alle spalle dei relatori che avrebbero voluto gustarsi un the in santa pace, ma che hanno presto desistito e i disturbi, timbrici e psichiatrici, di Alessio Chiappelli, buon strumentista ma che nell’occasione ha eseguito alla lettera i dettami dell’invito: crepitio elettrico.
Ma non è uno scherzo, è una delle nuove ed ahinoi ultime frontiere bibliografiche, quella che l’AssCultPress riesce ad allestire, tramite crowdfunding, di tutto quello che merita ma non gode della dovuta risonanza magnetica, e per questo resta invisibile.
Il progetto di ristampa costa 1.000 euro e da oggi pomeriggio, allo Spazio, è partita la campagna di azionariato: ogni socio versa 5 euro e al compimento del gruzzolo necessario, il libro riedito e al quale l’autore ha aggiunto, per promuoverlo, un nuovo racconto, Zucchero spinato, arriverà a destinazione, dal destinatario che ne ha fatto richiesta versando l’obolo di partecipazione.
Andrea Betti – Tibet e la postilla necessaria ad un uomo che non vive le dimensioni degli altri – è un pensatore originale, ma passionale, con una percezione anticipatoria incredibile, offertagli proprio dalla sua privilegiata, ma scomodissima, posizione sociale; la totale estraneità a tutto. E allora, nei suoi scritti, gemiti gutturali che eludono la sorveglianza sintattica del comando, non sono altro che un frullato emotivo di sangue e dolore, condito però con tanta ironia, quello che gli consente di vivere sospeso, nonostante l’approssimarsi incombente volteggiante della fine.
È un anarchico ininsurrezionalista: alla pratica della guerriglia urbana e degli attentati, ha preferito ritirarsi senza averci mai partecipato e lo ha fatto andando lontano, molto lontano, soprattutto dalle passioni che tengono vivi quelli che ancora sperano di riuscire e per questo sono obbligati a crederci.  

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Foto di Luigi Scardigli.
[Domenica 17 marzo 2013 | 07:56 - © Quarrata/news]

4 commenti:

  1. Credere, obbedire e combattere. Crederci sempre, arrendersi mai. Ne avevo già parlato in un post sulla sostanziale somiglianza fra la Ventura e Mussolini. In un post, strumento essenziale per le mie encicliche di non schierato prossimo alla fine (grazie e mi do pure una toccata ai gioielli).
    Per il resto dovresti fare un upgrade, un aggiornamento: è vero, sono andato lontano, anzi a dire il vero sono sempre stato lontano dall'approssimazione compiaciuta con cui taluni si pongono non solo nell'evanescenza di un post, ma nella loro condotta di vita. Ma nemmeno questo mi riguarda: l'aggiornamento forse Luigi lo dovresti fare non su di me ed i miei amici di cordata, che son cose che poco c'interessano, ma su quanto di nuovo e passionale e che rende vivi è anche sotto il tuo naso, come certe scelte di vita, autenticamente rivoluzionarie che io ho soltanto il modestissimo merito di aver la coerenza di perseguire. Ma evidentemente nella tua rispettabilissima percezione delle cose, stiamo ancora al pupazzo vestito da syd vicious che starnazza e sputazza (anarchia) e ai tizi imbacuccati e fascistoidi che spaccano le vetrine. Per te forse questo è essere "trasgressivi", come credo anche fumare le canne e bere del vinello per fare il maudit sulla Sala. Ci son passato, ma mi è anche passata. E se ci sono riuscito io, guarda, ce la può fare chiunque. Nei miei scritti / non sono altro come tu denoti dimostrando un controllo sintattico un po' sbilenco quasi come me, c'è anche questo. Non si rinnega nulla. Ma si può e si vuole andare lontano. Sorvolo su alcune note di pura schizofrenia come l'attribuirmi passioni che poche righe sotto avrei abbandonato, ma questa e senza dubbio la licenza poetica di cui godono più di noi "poeti" molti giornalisti. E in sostanza ti ringrazio per le tue parole che forse saranno le uniche che riceverò dalle periferie dell'establishment che tu, tuo malgrado, rappresenti. Non che me ne dispiaccia, rinuncio volentieri e di mia sponte alle risonanze magnetiche di cui forse tu sembri denunciare un disperato bisogno. Ma è una schermaglia di poveri diavoli questa, su cui è bene non avventurarsi in reciproci giudizi precipitosi perchè ci avremo sempre da rimettere.

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    1. mi chiedo solo come si possa contestare l’establishment quando si scrive, si pubblica, si presenta il proprio lavoro in una sala da thè con tanto di menestrello che suona: non è come fare il tibetano a pistoia o il mongolo a Sidney, con perfetta cultura di provincia? ma in fondo gli antiborghesi sono i borghesi più mancati; specie se si definiscono ‘poeti’ da sé.
      una volta i poeti aspettavano che fossero gli altri a dirlo che lo erano. e allora lo erano davvero.
      kavafis non ha mai pubblicato in volume: eppure era e resta un gigante e non s’è mai mosso da alessandria (d’egitto, per chi non lo sa).
      e dante non andò mai a parigi, la grande patria adottiva dei pistoiesi per sdoganarsi dal terrore della provincia…

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    2. "Le permanenze fuori d'Egitto di Kavafis furono poche: in Inghilterra per due anni, e un viaggio turistico a Parigi con la famiglia, tre deprimenti viaggi ad Atene, lunghe visite ai nonni a Istanbul."

      fonte http://www.culturagay.it/cg/saggio.php?id=156

      Lanfredo Amati, l'approssimazione al pari della retorica e della generalizzazione è uno dei grandi mali della cultura italiana. Kavafis per sua stessa appartenenza familiare \culturale era un cosmopolita (greco, nato e vissuto in Egitto, con nonni a Istambul). Inoltre è vissuto per 2 anni a Londra. Non una settimana a Parigi (come me) che vivo a Pistoia da una vita eccetto per un annetto schio trascorso a Milano ed il mio recente trasferimento a Femminamorta. Avrebbe fatto meglio a prendere come esempio Emilio Salgari, grande visionario e narratore accuratissimo (altrochè approsimativo!) di mondi lontanissimi ed esotici che mai vide, perchè mai si mosse da Torino. Si documenti, Lanfredo Amati, che in questi giorni è comodo: non importa nemmeno uscir di casa per andare in biblioteca.

      cordialmente e senza terrore per la provincia. Andrea Betti Tibet

      fonte su Salgari (oltre a wikipedia) http://www.rollingstonemagazine.it/cultura/news-cultura/ricordando-salgari-viaggiatore-stanziale/

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  2. Lanfredo Amati, Tibet forse sfugge anche a lei oltre che ai professionisti dell'informazione, è semplicemente l'anagramma di Betti. Un giochetto di parole che mi porto dietro scherzosamente dai tempi delle superiori. Un vezzo. Non la conosco io, Lanfredo Amati, e per tale motivo mi guarderei bene dal giudicare lei e quel che fa in maniera sprezzante e frettolosa; lei invece sembra che mi conosca molto bene tanto da affiliarmi ad una serie di categorie umane: quella degli antiborghesi, quando ho sempre affermato di essere borghese, mai rinnegato, s'informi meglio, e quella dei poeti a cui è vero, sono colpevole di auto-affiliazione in un sarcastico virgolettato.
    Lei pur così sensibile e colto, è approssimativo e inesatto Lanfredo Amati, oltre che inutilmente malevolo: il progetto di ristampa del libro tramite crowdfunding è totalmente affidato nel suo finanziamento alla volontà delle persone che lo vogliono finanziare. Non abbiamo chiesto all'usanza italiana dei menestrelli e degli affiliati (quello veri) fondi alla comunità europea, ci siamo umilmente ritagliati un nostro spazio di esistenza e proposti, ospitati dagli amici della Libreria Lo Spazio, pagando di tasca mia stampa di volantini pubblicitari, cartellone con la copertina del libro e il buffet offerto agli ospiti. Non le piace. Benissimo. Riusciremo anche senza il suo prezioso apporto, Lanfredo Amati, a scrivere e raggiungere chi ci vuol leggere. E per suo grande dispiacere, continueremo a farlo. Solo che mi permetta un'osservazione di "stile": sarebbe più opportuno rivolgere tanto acume critico forse contro chi fa delle cultura un business a scapito della comunità usufruendo di fondi pubblici, o ai molti che pubblicano immeritatamente per le grandi case editrici per ragioni puramente di mercantili. Mi sfugge la frecciata su Parigi: ci sono stato una volta in gita alle superiori e un'altra volta a trovare un'amica. In totale ho trascorso a Parigi credo complessivamente meno di una settimana. Mentre accolgo con piacere il suo invito a leggere Kavafis che non conoscevo. Non ho del resto, ex studente della scuola d'arte e dell'ISIA poi, da nascondermi dietro il dito di un più o meno esteso nozionismo o delle carte in regola istituzionali e politiche.

    un caro saluto

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