PISTOIA. Scrivono Andrea Zucchini e Lorenzo
Paudice:
Caro blogger,
abbiamo letto con molto piacere l’articolo di Luigi
Scardigli pubblicato su Quarrata News (vedi)
lo scorso 27 ottobre e dedicato alla conferenza-dibattito ‘Nascere: Un danno
risarcibile? Riflessioni su una recente sentenza della Cassazione’ da noi
tenuta in tale data nella Libro-cartolibreria ‘Leggo & Scrivo’, alla quale
lo stesso Sig. Scardigli ha voluto assai gentilmente partecipare ed
intervenire. Ovviamente ringraziamo di cuore tanto Lei che l’autore dell’articolo
per l’attenzione riservata all’evento e per la tempestività con cui ne è stato
dato puntualmente conto su questa testata.
Vorremmo tuttavia approfittare
ancora della squisita ospitalità per aggiungere qualche ulteriore
considerazione su una sentenza (la 16754/2012) che, come giustamente rilevato
nell’articolo, ci ha personalmente ‘appassionato’, o meglio sulle ragioni per
cui essa – lo precisiamo subito a scanso di equivoci – ci ha molto, molto preoccupato.
Come spiegato, nel caso preso in esame dalla Corte l’unica
alternativa possibile alla nascita con handicap era l’aborto: i giudici,
pertanto, decidendo di risarcire non solo la madre (cui non fu consentito, all’epoca,
di esercitare il diritto ad interrompere la gravidanza sancito dalla L. 194/78)
ma anche la persona affetta dall’handicap, hanno di fatto stabilito che la
persona down ha subìto essa stessa, nascendo, un danno maggiore di quello che
avrebbe patito se fosse stata abortita!
Ognuno comprende la gravità esistenziale e filosofica,
prima ancora che pratica, di una simile affermazione: e difatti i giudici, nel
corso della sentenza, tentano – ci pare – di neutralizzarne in vario modo le
implicazioni generali con tutta una serie di argomentazioni tecniche tanto
sottili quanto (almeno per lettori “profani” quali i sottoscritti) poco
cogenti, inframmezzate a passaggi ed “incisi” a nostro avviso ben più
illuminanti del vero pensiero che sta dietro al pronunciamento.
Un esempio su tutti : ‘... un risarcimento funzionale ad
alleviarne sofferenze ed infermità, talora prevalenti sul valore della vita
stessa’ (corsivo nostro).
Riteniamo siano espressioni come questa (tutt’altro che
isolata) a tradire i veri, “ideologici” presupposti che motivano la sentenza in
oggetto. Ed è allora del tutto consequenziale che, in una serie sconcertante di
articolate deduzioni giuridiche, il diritto alla vita del nascituro affetto da
handicap – e del quale viene ribadita la natura di mero ‘oggetto di tutela
speciale’ per l’ordinamento, anziché di titolare di diritti positivi – debba
cedere via via il passo a molteplici altri diritti ed interessi tutelati, ben
al di là dello stesso diritto alla salute della madre sancito dalla L. 194: in
primis quelli del padre e dei fratelli (parimenti risarciti in qualità di ‘interessati
tutelati’ dall’ipotetica scelta abortiva della moglie/madre, pur non potendo
avere in essa, ai sensi della medesima legge, alcuna voce in capitolo), quindi
persino un fantomatico ‘interesse tutelato’ del nascituro stesso ‘a non vivere
una vita handicappata’ (sic), il che equivale nello specifico a non nascere affatto!
Quasi non esistessero già – e non fossero magari migliorabili – ben altre
strade per sostenere economicamente l’handicap, con ben altro fondamento
giuridico ed etico che non l’interesse dell’handicappato stesso a venir
soppresso prima di nascere!
Non sarà giusto in proposito chiedersi se – proprio all’opposto
– una posizione come quella espressa da questa sentenza possa in futuro
condurre a vedere e trattare l’handicap e la disabilità come un problema da
eliminare per così dire “alla radice”, anziché come una condizione da tutelare
e sostenere (non solo economicamente) insieme ai suoi portatori? Pensiamoci.
Non si decide così di risarcire un disabile ponendo i presupposti giuridici per
non doverne sostenere altri?
La (doverosa) cautela con cui abbiamo cercato di
illustrare i passaggi della sentenza nel corso dell’incontro era frutto solo
della nostra consapevolezza della delicatezza estrema del tema, e del desiderio
di sollecitare domande piuttosto che dare risposte: senza però, per questo,
voler rinunciare al nostro diritto di uomini e cittadini comuni di suscitare
una riflessione e di cercare di capire le motivazioni e le implicazioni di una
decisione di tale portata. Implicazioni che a nostro avviso sono moltissime e
tutte inquietanti, e chiamano in causa la concezione stessa della vita, dell’uomo
e dei diritti fondamentali della persona (in una parola, la civiltà) che
vogliamo costruire ed abitare nel nostro futuro.
Con i saluti più cordiali,
Andrea
Zucchini
Lorenzo
Paudice
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[Giovedì 01
novembre 2012 - © Quarrata/news 2012]
bella e profonda riflessione
RispondiEliminaE’ da notare che, su di un piano teorico (ma non per questo inidoneo a produrre conseguenze):
RispondiElimina1)L’efficacia del giudicato estrinsecata dal contenuto delle sentenze della Corte di Cassazione reseca il nesso tra fattispecie astrattamente prevista e fattispecie concreta;
2)Anche nel caso in cui si affermasse con vigore il principio del valore vincolante del precedente (ciò che nel nostro ordinamento, per tradizione, non avverrà mai), l’autorevolezza della cassazione (a sezioni unite o meno) in questione giocherebbe a favore della ammissibilità e non della esclusione della ammissibilità della risarcibilità di soggetti ulteriori e diversi rispetto al risarcito nel caso specifico che versino in identiche situazioni;
E’ invece da considerare, a livello concreto, il mero dato di fatto per cui, accanto a una percentuale di donne che ricorrono all’aborto, vi è comunque una percentuale di donne che, fermo il diritto a una maternità consapevole affermato in via generale (costante che connota le democrazie evolute), rinunciano a ricorrere alla interruzione volontaria di gravidanza anche in casi estremi per convinzioni ideologiche proprie e personalissime (convinzioni che, ad avviso di chi scrive, personalissime dovrebbero rimanere così come quelle di chi decide di ricorrere alla interruzione volontaria di gravidanza anche al di fuori dei casi previsti dall’articolo 6 dalla legge 194/78): ciò da cui di deduce che pensare ad una “rupe tarpea generalizzata” costituita dalla legalizzazione della interruzione volontaria di gravidanza è decisamente eccessivo (non ci si dimentichi che la legislazione in tema di interruzione volontaria di gravidanza è in vigore in Italia da quasi quarant’anni e che anche nei paesi in cui sono state adottate legislazioni in materia più criticate, non mi risulta che la disabilità sia totalmente scomparsa).
Per esprimere, poi, valutazioni personali in relazione alla giustezza di quanto asserito dalla Corte, dovrei leggere la sentenza per esteso e non considerarne stralci che, presi singolarmente, possono risultare decisamente fuorvianti.
Ciò che, in via assolutamente personalissima, mi auspico, è che la Corte abbia fondato la soddisfazione della pretesa risarcitoria esclusivamente sulla idoneità degli effetti della condotta lesiva dovuta a colpa medica impeditiva della interruzione di gravidanza ad incidere su una frazione temporale che va ben oltre “l’evento nascita” (e quindi sulla idoneità di tali effetti a incidere su un uomo effettivamente tale, e non su un uomo meramente potenziale).
Secondo me è infatti vero che blastula, morula e feto non sono certamente da considerarsi “mera materia” sulla quale la donna possa esercitare un diritto corrispondente a quello di proprietà, nondimeno, disconoscere la rilevanza di una intensità di tutela che sia direttamente proporzionale alla complessità della forma di vita che si intende tutelare (e si noti che di sicuro la madre è forma di vita assai più complessa ed evoluta rispetto a quella dell’embrione o del feto che porta in grembo) significa privare il diritto, in un mondo in cui ogni risorsa non è illimitata (non si parla di ipotetici mondi delle idee ma del mondo materiale in cui tutti viviamo), della funzione per l’espletamento della quale il diritto stesso è stato pensato: garantire a ognuno di noi una vita quanto più possibile tranquilla (ossia al riparo da autotutele eventualmente cruente, da far west) e dignitosa.
Chi non concorda, quando va al supermercato per comprarsi un pollo, può accontentarsi di un bell’ovo gallato! Tanto è uguale, no? L’ovo gallato è un pollo in potenza!!!!XD