di Luigi
Scardigli
Sarà l’elemento di spicco della seconda
delle tre serate del blues
Il Festival Blues, la 33esima edizione, è ormai alle porte,
con un prologo, esattamente il giorno prima, giovedì, decisamente gradito,
quello dei Subsonica. Ma la rock band torinese non fa parte della tre giorni
della Tafuro dinasty e per questo mi pare doveroso iniziare a parlare dei
personaggi di spicco che animeranno questa ennesima meraviglia pistoiese.
Inizio questa piccola rassegna specifica da un artista che,
in qualche modo, è di casa. Paolo Nutini, testimonial della Puma, al fianco di
una divinità dell’atletica, Usain Bolt, è un giovanissimo musicista scozzese,
di padre italiano, anzi, toscano, della provincia di Lucca, per l’esattezza. Ed
è proprio il padre a sponsorizzarlo in modo quasi maniacale alla musica, un
avviamento che si imbatte in una di quelle coincidenze che cambiano il corso
dell’esistenza. Quella di Paolo Nutini, forse, non sarebbe stata quella che è
se per la festa nella città natale di Paisley in onore del coetaneo
concittadino David Sneddon, vincitore per la BBC della Fame Accademy, non si fosse consumato un contrattempo, quello che impose
al marmocchio di salire sul palco ed iniziare a cantare.
Convinse tutti, il ragazzo, soprattutto Ken Nelson, un
produttore che andava per la maggiore e che gli propose, immediatamente, la
sottoscrizione di un contratto irrinunciabile. Il resto, appena due album, d’accordo,
ma parecchio convincenti, è la storia dell’ultimo decennio. Paolo Nutini, in
fondo, di anni ne ha appena 25, ma da più di un lustro è considerato, probabilmente
non a torto, uno dei maggiori interpreti del soft rock e in qualche modo, anche del blues.
Per questo, sabato prossimo, sarà lui, l’elemento di spicco
e di maggior attrazione della seconda delle tre serate del Festival, una notte
parecchio anglosassone, con una scaletta decisamente marcata a fuoco dal suond
anglosassone, offerto, in successione, da una delle band ammesse all’onore di
piazza del Duomo direttamente dalle selezioni di Obbiettivo Blues’In, un
prologo che sarà seguito, in sequenza, dai Last
Standing, dalle riletture beatlesiane del pistoiesissimo Sergio Montaleni e
la sua band, dall’altro british della serata, Piers Faccini e con la chiusura
del palco affidato al giovanissimo italo-scozzese, che ha già convinto, in
tempi non sospetti, l’icona sadomaso più sfortunata del panorama musicale
contemporaneo, Amy Winehouse, vittima della propria inconsolabile
inconsistenza, alla quale, qualche anno fa, ebbe l’onore e il merito, forse è
bene dirlo, di aprire i concerti.
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[Martedì 10 luglio 2012 - © Quarrata/news 2012]
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