di Luigi
Scardigli
Ha ragione, Caetano Veloso, a dire che la mocciosa paulista
ha una voce che non passerà inosservata. Ma non solo; perché a vederla in
concerto, poi, il fascino e il gusto aumentano esponenzialmente. Strano, perché
Maria Gadù – è di lei che vi sto parlando – ha
appena 26 anni, che non dimostra affatto. Ieri sera, nella conca dell’Anfiteatro
Pecci, a Prato, il suo concerto, organizzato dal Comune, è stato una
dimostrazione, esemplare, delle mille possibilità sonore e timbriche che si
possono estrarre e riprodurre nel giro di un’ora e mezza.
Mayra Correa Aygadoux, queste le sue generalità, è una
professionista: suona con un bel groove la chitarra e per questa tournée
italiana, da Verona a Rimini, via Prato, si fa accompagnare da cinque
strumentisti più che all’altezza: una chitarra acustica, che non perde
occasione di ricordare a tutti, anche ai bossanovisti puri, che in principio fu
il rock; un organo Hammond, dalle atmosfere anni ‘70,
i prodromi della world music, l’invasione del funky; una batteria perfettamente
incastonata in questo meraviglioso cocktail di contaminazioni e le percussioni,
che riportano nel suo alveo naturale il sound della band leader.
A mio presuntuosissimo ascoltare, la cosa che le riesce
meglio, a Maria Gadù, è quel mix tra rock e saudade, quel suono
indecifrabilmente afrobrasiliano che ricorda uno dei suoi ispiratori, Carlinhos
Brown. La sua voce, del resto, le consente tutti i voli che desidera:
confidenziale, seppur stentorea, in quelle interminabili filastrocche da
carnevale, prima durante e dopo; nitida e ficcante quando alla leggenda
portoghese degli albori fonde e confonde il metallo dei suoni meno capaci di
diplomatizzarsi, fino a diventare aulica, classica, quando nella forbice di un
motivo riesce a far colare tutte le lezioni ricevute e perfettamente assimilate
in questi pochissimi ma intensi anni.
Con Shimbalaie, il
brano che l’ha catapultata lungo le modalità di frequenza radiofoniche
internazionali, Maria Gadù, al cospetto di un pienone oltre ogni rosea
aspettativa, ha chiuso la sua esibizione, alla quale non ha potuto non
aggiungere due gemme da bis, nelle quali, i cinque sessionisti, si sono
singolarmente esibiti in piccoli assaggi e saggi d’assolo. Prima del motivetto
che arriverà, a pieno merito, anche sulle spiagge anche di chi non sa nemmeno
che esista, Maria Gadù ha svuotato il proprio cilindro mettendo in cantiere
tutto il proprio già poderoso repertorio, quello che così giovanissima le ha
già consentito di ricevere, unanimemente, il passaporto per viaggiare, a ragion
veduta, sulle ali del terzo millennio artistico, dove Maria Gadù, con quel
sorriso falsamente timido, crede che qualcuno dovrà velocemente cederle il
posto.
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Foto di Luigi Scardigli.
[Martedì 3 luglio 2012 - © Quarrata/news 2012]
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